Internazionale - 19.07.2019

(やまだぃちぅ) #1

paese piccolo con un’economia relativa­
mente piccola, questo ha avuto una consi­
derevole influenza sul nostro pil”.
Per motivi di privacy Connolly non
può dire che in realtà il contributo princi­
pale a questa crescita incredibile l’ha da­
to un’unica azienda. All’inizio del 2015 la
Apple ha trasferito i diritti sull’intera pro­
prietà intellettuale esterna agli Stati Uni­
ti – cioè i diritti sulle innovazioni tecnolo­
giche, sul design di cellulari e
computer, sui software e sul
marchio – a una consociata ir­
landese. Valevano moltissimo:
secondo le stime dell’economi­
sta irlandese Seamus Coffey,
dell’University college di Cork, la conso­
ciata della Apple avrebbe pagato alla casa
madre circa 250 miliardi di dollari. La
proprietà intellettuale è stata quindi por­
tata in Irlanda anche se le idee, i design e
i software erano stati concepiti negli Stati
Uniti.
La proprietà intellettuale non resta
chiusa in un cassetto, ma è impiegata nella
produzione di beni. Nelle statistiche eco­
nomiche irlandesi risulta come una gigan­
tesca fabbrica immateriale. I brevetti e il
design, naturalizzati irlandesi, sono usati
per produrre ogni singolo iPhone, Mac­
Book e iWatch. È la consociata irlandese
della Apple che affida gli incarichi ai pro­
duttori asiatici. Nelle statistiche, ormai, la
produzione materiale è quella che vale e
conta meno. È la proprietà intellettuale di
un’azienda che genera valore. E, almeno


sulla carta, in questo caso è l’Irlanda che la
fornisce: due terzi delle entrate interna­
zionali della Apple derivano dalla proprie­
tà intellettuale irlandese, anche se in Ir­
landa ci sono il 4 per cento dei dipendenti
e l’1 per cento dei clienti dell’azienda.
Dal 2015 questa ricchezza fa la sua
comparsa ovunque nelle statistiche irlan­
desi, moltiplicando le entrate dovute alle
esportazioni ma senza che alcuna merce
lasci il paese. Nel 2015 il valore
delle esportazioni irlandesi, che
prima era di trenta miliardi di
euro all’anno, è cresciuto di
quindici miliardi. Il valore degli
investimenti è aumentato di tre­
cento miliardi di euro, cioè del 40 per cen­
to. E visto che la consociata irlandese della
Apple aveva comprato i diritti indebitan­
dosi, la somma del debito estero delle
aziende irlandesi è quasi quadruplicata.
Probabilmente oltre alla Apple anche altri
grandi gruppi tecnologici statunitensi, co­
me la Microsoft, Facebook e Google, han­
no contribuito a questo balzo in avanti
della crescita irlandese.
Le statistiche economiche hanno resti­
tuito l’immagine di una grande trasforma­
zione, con dei dati che non sarebbero stati
molto diversi se nel 1970 la General Mo­
tors avesse improvvisamente deciso di
trasferire la sua intera produzione auto­
mobilistica in Belgio. Ma per gli irlandesi
poco o nulla è cambiato: la disoccupazio­
ne non è diminuita e lo standard di vita
non è migliorato in modo rilevante. Non

c’è stato neanche un aumento consistente
delle entrate fiscali, visto che la consociata
irlandese della Apple per acquistare i dirit­
ti d’uso dalla casa madre ha contratto mol­
ti debiti. Ma l’Irlanda è solo l’esempio
estremo di una tendenza generale. Secon­
do il National bureau of economic re­
search statunitense, se si fossero esclusi i
profitti dei grandi gruppi statunitensi, il pil
irlandese del 2012 sarebbe risultato più
basso di 14 punti percentuali, quello olan­
dese di dieci punti percentuali, quello lus­
semburghese di 43, quello svizzero di due
e quello britannico di uno.
Secondo Connolly, “in fin dei conti da
noi risulta più evidente quello che in realtà
succede anche nel resto del mondo, sem­
plicemente perché la nostra economia è
relativamente piccola e globalizzata, con
la presenza di alcune grandi multinazio­
nali”. Insomma, la questione è: come fa­
ranno gli statistici a rappresentare la glo­
balizzazione?

Una risata amara
L’Organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economico (Ocse), che raggrup­
pa i più importanti paesi industrializzati,
ricorda un po’ un polpo: ha molte braccia
che sembrano agire indipendentemente
l’una dall’altra. L’Ocse si occupa di disu­
guaglianze, lotta alla povertà, politiche
commerciali e fiscali, istruzione, ma so­
prattutto raccoglie dati dovunque sia pos­
sibile farlo. Nadim Ahmad, un britannico
brizzolato che dirige il dipartimento per le

Singapore
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