America Centrale
comprare prodotti a prezzi vantaggiosi.
A Cocoyol, una delle tante comunità agri-
cole dove si coltiva la canna da zucchero,
incontro Carmen Martínez, 48 anni, e Jo-
sé Jones, 47 anni, che scendono da una
canoa di legno proveniente dal Belize. È
un tragitto brevissimo. Fin dal loro nome
i Jones, come si fanno chiamare, sono un
simbolo perfetto del meticciato.
Lui è originario del Belize, ha la pelle
color caffè, è robusto e muscoloso e lavora
come erborista. Con le piante e le radici
cura gli abitanti del posto dalla polmonite,
dai reumatismi o dai morsi dei serpenti.
Lei è messicana, magra, ha gli occhi pro-
fondi e vende vestiti di seconda mano su
L’
agente dell’Instituto na-
cional de migración (Inm),
l’istituto governativo mes-
sicano per la migrazione,
esce dall’ufficio con indos-
so metà dell’uniforme re-
golamentare: porta i pantaloni verde oliva
e una canottiera bianca. Ci guarda dall’al-
to in basso, si gratta i testicoli, sposta la
mano sulla barba brizzolata lunga di qual-
che giorno e poi torna ai testicoli. È stupito
dall’arrivo di qualcuno che non sia men-
nonita, nero o abitante della Unión.
Nel database dell’Inm l’ufficio della
Unión, una località nello stato di Quinta-
na Roo, è registrato come un immobile a
due piani con l’aria condizionata e una
stanza per accogliere le persone. La real-
tà è che l’ufficio, a più di mille chilometri
dalla capitale del Messico, è un misto tra
una casa, un garage, uno studio e un pol-
laio. Gli oggetti tecnologicamente più
avanzati sono un quaderno, un ventilato-
re e una penna. “Vuole andare in Beli-
ze?”, chiede l’agente. “Ma lì non c’è nien-
te”, aggiunge. Quello che lui chiama
“niente” in realtà è un paese di 370mila
persone che parlano inglese e creolo, e
riconoscono la regina del Regno Unito
come loro capo di stato.
Nello stesso momento, dall’altra parte
del confine, si svolge il funerale di Henry,
morto dopo aver ricevuto due colpi di
machete in testa. I suoi amici mennoniti
lo chiamavano El Happy, quello felice.
“Di là non c’è nessuno per timbrare l’in-
gresso in Belize”, continua l’agente.
“Quindi passi e basta”.
Nel tempo che dura la nostra conver-
sazione, in questa località rigogliosa, cal-
da e piena di mosche, entrano in Belize,
con un cenno della testa in segno di saluto
come unico documento, una coppia con
una bicicletta, quattro donne cariche di
prodotti per la pulizia e un ragazzo con
una maglietta del Barcellona e una cassa
di birra sulle spalle. In senso contrario
passano una famiglia di mennoniti e un
altro mennonita con il suo autista nero.
A diciotto ore d’auto da Città del Mes-
sico, alla triplice frontiera tra Messico,
Belize e Guatemala, il controllo migrato-
rio alla Unión si può riassumere in una
frase: “Ti conosco di vista”.
Senza controlli
La Unión è l’ultima località importante
del Quintana Roo – importante significa
che ha un negozio di alimentari, una chie-
sa, l’ufficio dell’Inm e una base della ma-
rina – lungo la strada nota come camino
blanco, cammino bianco, perché è uno
dei punti di passaggio della cocaina dai
Caraibi agli Stati Uniti.
Dalla parte messicana, la strada pro-
cede in parallelo al fiume Hondo, dove ci
sono più di trenta comunità distribuite su
cento chilometri e dove la natura della
frontiera s’impone sul passaporto. Un
fiume attraversato ogni giorno da centi-
naia di famiglie per andare a scuola, visi-
tare un parente o la persona amata, o per
Vite
di confine
Jacobo García, El País/El Faro, Spagna/El Salvador
Foto di Fred Ramos
Non ci sono muri né agenti a sorvegliare la
frontiera tra Messico e Belize. Una linea che
divide due mondi: villaggi rurali e poveri da una
parte, ricche comunità mennonite dall’altra
EL FARo/EL PAíS