Il testo di questo magnifico brano, tra l’altro, cita:
Se le colpe ricordi, Signore,
chi potrà starti dinanzi;
ma presso Te si trova il perdono,
perché a Te si ritorni.
Io confido, Signore, in Te,
io spero nella Tua Parola,
così T'attende l'Anima mia
più che le sentinelle l'alba.
Sante parole che rappresentavano proprio il mio stato d’animo in quel momento di scalata
esistenziale verso Dio, per raggiungerlo dove desiderava. Forse per ritornare da Lui per sempre.
In mattinata tentai di riposare ma fu impossibile, e riuscii soltanto a restare in uno stato di veglia,
come di attesa che qualcosa dovesse accadere.
Ero sdraiato nel letto, quasi del tutto sotto le coperte da cui uscivano soltanto gli occhi, ed ogni
tanto osservavo le sbarre che mi circondavano, sia quelle della finestra che quelle dell’ingresso
della cella, e mi rendevo conto di quanto fossero spesse, fredde e massicce, in rappresentava della
crudeltà umana, sia quella dei carcerati che avevano commesso reati tanto gravi da dover finire in
carcere, sia quella della giustizia che non riusciva a trovare soluzioni più efficaci e meno dolorose.
Non mi posi più le solite domande, tipo: “ma io che c’entro con tutto questo?”, perché avevo
giurato in cuor mio di non provare più odio per niente e nessuno, e quindi sorvolai e mi limitai ad
una strana forma di osservazione delle inquietanti sbarre, non sterile, non passiva, non remissiva,
ma consenziente. Decisi infatti di accettare la carcerazione perché prima o poi il mio Signore
sarebbe intervenuto per liberarmi e mi avrebbe offerto una vita nuova, ne ero certo.