Oltretutto un medico ridotto nelle condizioni pietose nelle quali ero sprofondato, incuteva notevole
compassione, se non proprio pena, e questo stato desolante condizionava negativamente ogni
tentativo di reazione da parte mia.
Dovetti ovviamente vendere tutti i beni a disposizione, tra cui l’automobile, per sopravvivere più a
lungo possibile, nella speranza di trovare nuovi soci e rilanciare l’iniziativa.
Ad un certo punto tutti i soldi finirono e per mia moglie ed i figli non fu più possibile restare a
Roma e furono costretti a ritornare a Salerno a vivere dai nonni materni.
Erano ritornato incredibilmente l’incubo che ci aveva distrutto negli anni precedenti.
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