Il Sole 24 Ore - 05.03.2020

(Frankie) #1

24 Giovedì 5 Marzo 2020 Il Sole 24 Ore


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ETICA ED ECONOMIA, UN’ALLEANZA PER IL FUTURO


I


n un’economia già fortemente


provata dalla stagnazione e,
nelle ultime settimane, dalle

imprevedibili ripercussioni fi-


nanziarie del coronavirus, di-
venta inevitabile ragionare sulla

fragilità dei nostri modelli econo-


mici, per riprendere il cammino più
forti di prima. Sono fasi di transi-

zione, anche traumatica, in cui ci si


rende conto quanto sia necessaria
una stretta connessione tra l’utile

individuale e il benessere collettivo,


tra la ricchezza privata del cittadino
e la pubblica utilità. Perché quella

connessione ci sia, è necessario che


i princìpi dell’etica convivano sta-
bilmente con le leggi che regolano

la nostra economia: sono ancora


troppe le diseguaglianze che fram-
mentano la nostra società.

Il superamento di quelle disegua-


glianze è stata una delle missioni
che ha segnato la vita di Guido Carli,

in Banca d’Italia come in Confindu-


stria, alla guida del ministero del-
l’Economia e nelle trattative di Maa-

stricht che hanno portato alla nasci-


ta della moneta unica e di una nuova
Europa, che tuttavia Carli aveva so-

gnato diversa, più incline ai bisogni


dei suoi cittadini.


Manca poco meno di un mese,
anniversario della nascita, nel ,

dell’economista, dell’uomo di Stato,


per me più semplicemente di mio
nonno, Guido. È lui che mi ha cre-

sciuto e lo ha fatto sempre alla luce


di valori solidi, trasparenti, forse
d’altri tempi. Sono i valori e le regole

non scritte dell’etica, che devono


ispirare e regolare anche la vita eco-
nomica, non solo le condotte morali.

È un percorso tutt’altro che compiu-


to, necessita di un supplemento di
impegno e di riflessione. Per questa

ragione la Fondazione Guido Carli,


che con orgoglio presiedo, promuo-
ve alla vigilia dell’anniversario della

nascita dell’ex ministro, un con-
fronto dal titolo «Etica e Economia.

Ricchezza privata e pubblico benes-


sere: convivenza possibile?» Si ter-
rà, e non poteva esserci luogo più

evocativo, nell’aula magna Mario


Arcelli dell’Università Luiss Guido
Carli a Roma, dove tanti giovani eco-

nomisti ogni anno vengono formati.


All’appuntamento, che segue
quello di novembre alla Borsa di Mi-

lano su «Etica e Impresa», interver-


rà Vincenzo Boccia, presidente di


Confindustria e della Luiss, mentre


al presidente onorario della Fonda-
zione, Gianni Letta, spetterà il com-

pito di ricordare l’ex ministro del


Tesoro Carli. La sindaca di Roma,
Virginia Raggi, porterà i saluti isti-

tuzionali della Capitale. Quindi, il
dibattito, moderato dal giornalista

de La Giovanni Floris. A confron-


tarsi saranno Marco Bizzarri, presi-
dente e ceo di Gucci; Mara Carfagna,

vicepresidente della Camera dei De-


putati; Franca Leosini, giornalista e
conduttrice Rai; Giovanni Malagò,

presidente del Coni; Giampiero


Massolo, presidente di Fincantieri;
Giuseppina Paterniti, direttrice del

Tg; Antonio Patuelli, presidente


dell’Abi; Giovanni Tria, economista.
Papa Francesco, nell’udienza che

ci concesse alla vigilia della celebra-


zione del decennale del Premio Gui-
do Carli, aveva definito mio nonno

una figura «contrassegnata da spic-


cato senso del dovere e impegno
perseverante per il bene della collet-

tività». Un economista che il Ponte-


fice avrebbe apprezzato in questi
tempi segnati dalla «cultura dello

scarto». E in tal senso, l’appunta-


mento del  marzo si inserisce nel-


di Romana Liuzzo


ECCO PERCHÉ LA LEGGE DI BILANCIO


È IL PIÙ MANIPOLATO DEI TESTI SACRI


P


otremmo fare a meno di


tutte le oltre duecentomila
leggi italiane. Tranne di una.

La legge finanziaria è
l’unica che il Parlamento

approva necessariamente


entro la mezzanotte del  dicembre
di ogni anno, perché serve a dare at-

tuazione all’articolo  della Costitu-


zione. È il pieno di benzina nella mac-
china dello Stato.

Ogni tanto i politici in crisi di co-


scienza le cambiano nome per imbel-
lettarla agli occhi dell’opinione pub-

blica. In principio, alla fine degli anni


settanta, era la legge finanziaria. Poi
legge di stabilità. Ora legge di bilan-

cio. Ma la sostanza, per noi, resta im-


mutata. Tanti numerini sparsi in cen-
tinaia di pagine di tabelline infarcite

di migliaia di emendamenti per risol-


vere (o creare) altrettanti problemi.
È la legge delle leggi. E dato che è

l’unica che il Parlamento sicuramente


approverà, tutto ciò che ci finisce den-
tro sarà magicamente marchiato con

il timbro indelebile della legge. Tasse,


spese, finanziamenti, tagli, agevola-
zioni, obblighi, diritti, divieti e proro-

ghe. I progressi più nobili e le schifez-


ze più abiette. Tutto insieme, affogato
ed equiparato.

La finanziaria è un rito lungo, tan-


trico, che si snoda in tre mesi di pas-
sione. I mesi più faticosi del mio anno

da capo di gabinetto. Ancora di più ora
che non ho più l’età gagliarda delle

prime esperienze ministeriali, quan-


do le notti insonni mi ricaricavano di
adrenalina. Per arrivare fino in fondo

bisogna aver letto i testi sacri e bilan-


ciare passioni e interessi. Che non so-
no né buoni né cattivi. E quindi non

vanno respinti, poiché significhereb-


be respingerli a un livello più profon-
do. E quindi sublimarli.

Il nostro compito è salire su quello


che Giuliano Amato definì «l’ultimo
treno per Yuma». Portare a bordo gli

articoli funzionali ai compiti del mini-


stero. Poi quelli che sorreggono la
carriera del ministro. Infine, se possi-

bile, quelli caldeggiati da qualche


gruppo di pressione a cui siamo per-
sonalmente legati o semplicemente

interessati a coltivare. Un’associazio-


ne ambientalista, una multinazionale
del tabacco, una start up, un’azienda

parastatale.


Non importa chi e perché.
È un compito ingrato, ma qualcu-

no deve pur farlo. Ogni ministro deve


intestarsi qualcosa. Gli incentivi al-
l’auto elettrica, la lotta alle bibite gas-

sate, un festival jazz, una cattedrale da
restaurare. Il capo di gabinetto deve

fare in modo che quella norma, all’al-


ba di Capodanno, sia stampata sulla
Gazzetta Ufficiale. E quindi regolar-

mente in vigore.


Ne va della sorte del ministro, e an-
che della mia. Se il ministro ne uscirà

vincitore, anche le mie quotazioni co-


me buon capo di gabinetto saliranno.
Se tra ottobre e dicembre non sei

disposto a trasfigurarti in un guerrie-


ro e a salire sul ring della finanziaria,
il mestiere di capo di gabinetto non fa

per te. Se non sei pronto a combattere


la lotta più spietata a colpi di commi,
emendamenti, articoli, riformulazio-

ni, ordini del giorno e codicilli, sarai


spazzato via e rispedito a scrivere
sentenze, manuali universitari, pareri

di legittimità.


[...] I tre mesi della finanziaria sono
infernali. Roma viene invasa da lob-

bisti di ogni sorta, in rappresentanza


di ogni tipo di interessi. Pubblici e pri-
vati. Affaristici e no profit. Collettivi e

individuali. Un avvocato d’affari mi


ha raccontato che ormai i suoi clienti
non gli chiedono più di avvicinare mi-

nistri e presidenti di commissione,


ma direttamente i capi di gabinetto.
Prestigiose agenzie internazionali e

intermediari “all’amatriciana” si con-
fondono in un caleidoscopio di ap-

puntamenti, promesse, lusinghe e


minacce, alimentando un mercato
che vale  milioni (più gli extra in ne-

ro) e cresce del % l’anno. Tanto che


alcuni di noi, quando escono dal giro
dei ministeri, provano a passare dal-

l’altro lato della barricata. Come Luigi


Tivelli, un ex funzionario parlamen-
tare che ha aperto uno studio di con-

sulenza vantandosi di essere «il Cop-


pi del lobbying».
Per tenerne conto, mentre il Parla-

mento discute, analizza, audisce, si


accapiglia sui decimali, ogni giorno
da qualche parte viene sfornata una

nuova bozza. Nella quale sparisce la


soppressione di una Camera di com-
mercio. E spunta un bicentenario da

sovvenzionare. Si elimina un’esen-


zione fiscale. E si aggiunge una super-
strada da finanziare.

Inutile inseguire le bozze mute-


voli. Bisogna capire da dove escono.
Chi le scrive.

Molti girano a vuoto, si illudono. Io


cerco di non farmi distrarre. La cosa
più importante è sapere qual è il com-

puter buono. Il computer giusto. C’è,


in tutta Roma, un solo computer che
può cambiarti la vita, la carriera o al-

meno la legislatura. Perché contiene
il file della legge finanziaria. Da lì

escono le bozze.


Il file vero. Quello in cui si scrivono
i testi che poi andranno in Parlamen-

to e saranno approvati.


[...] È finita. Quasi. Anche il ma-
xiemendamento va scritto, in un

computer. Il computer buono,


sempre quello. In via XX Settembre,
nella stanza del capo di gabinetto

del ministero dell’Economia o del


suo vice. E io dovrò vigilare che non


di Anonimo


È NECESSARIO


FARE CONVIVERE


IL BENESSERE


COLLETTIVO


CON L’UTILE


INDIVIDUALE


lo spirito dell’evento di Assisi The


Economy of Francesco aperto a gio-
vani economisti di tutto il mondo,

promosso proprio da Papa Bergo-


glio e momentaneamente rinviato
per l’emergenza virus. L’intuizione

del Santo Padre ci trova particolar-


mente sensibili: riteniamo anche
noi che occorra un patto affinché

l’economia di oggi sia più giusta,


equilibrata, sostenibile. In una sola
parola: inclusiva. E lo si può stipula-

re solo con le generazioni più giova-


ni. Sono loro che, per dirla ancora
con le parole del Pontefice, «posso-

no praticare un’economia diversa,


quella che fa vivere e non uccide, in-
clude e non esclude, umanizza e non

disumanizza».


Solo se quel patto intergenera-
zionale andrà in porto, col sostegno

dei governi, allora il superamento


delle diseguaglianze sarà al centro
delle politiche. Solo allora lo Stato,

e ancor più l’Europa, saranno dav-


vero al servizio dell’umanità. È sta-
to il sogno di una vita di Guido Car-

li. Un sogno che i giovani, economi-


sti e non, possono adesso racco-
gliere e realizzare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

mi facciano scherzi.


«Il maxiemendamento è il delitto
perfetto», ha scritto il costituziona-

lista Michele Ainis. Senza castigo,
aggiungo io.

Mi faccio mandare “il maxi”.


Sono stremato. Ma devo resistere,
sono all’ultimo miglio. Lo vivisezio-

no. Elefantiaco, contorto, oscuro. Un


articolo,  commi di italica oscurità.
Il maxiemendamento non si depo-

sita mai in Parlamento in formato


elettronico, ma rigorosamente carta-
ceo. Come ai vecchi tempi. La ragione

non è il rifiuto luddistico della tecno-


logia informatica, ma una più pratica
esigenza. Il regolamento prevede che

trascorrano almeno ventiquattro ore


dal momento in cui il maxiemenda-
mento viene depositato dal governo

a quello del voto in Aula. Un giorno


può essere eterno, possono maturare
circostanze che esigono correzioni

volanti al testo. Per esempio, se si sco-


pre che mancano alcuni voti e bisogna
recuperarli con una marchetta di gra-

dimento dei parlamentari riottosi. Al-


lora bisogna aggiungere, correggere,
limitare, estendere, eliminare in ex-

tremis una parola, un rimando nor-


mativo, una cifra.
Se il testo è depositato in formato

elettronico, per email o su una chia-


vetta Usb, la correzione è impossibi-
le: lascerebbe una traccia indelebile

e non sarebbe possibile intervenire
su tutte le copie del file. Invece se

l’originale è stampato, anche a fron-


te di un maxiemendamento di mi-
gliaia di pagine, è sufficiente toglier-

ne una e sostituirla con un’altra


stampata clandestinamente con la
correzione necessaria.

Tutti sanno che è andata così. Che


il testo sacro è stato manipolato. Ma
nessuno potrà mai dimostrarlo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il libro.


Pubblichiamo
un estratto da

Io sono il potere -


Confessioni di un
capo di gabinetto

raccolte


dal giornalista
de La Stampa

Giuseppe


Salvaggiulo
(Feltrinelli, 288

pagine, 18 euro).


L’evento.


La Fondazione
Guido Carli,

alla vigilia


dell’anniversario
della nascita

dell’economista


e statista, il 27
marzo (ore 17

Aula Magna


Mario Arcelli
dell’Università

Luiss Guido Carli,


viale Pola, 12,
Roma) promuove

un confronto dal


titolo «Etica e
Economia.

Ricchezza privata


e pubblico
benessere:

convivenza


possibile?»


UN CAPO


DI GABINETTO


DI LUNGO CORSO


SVELA COME


PRENDE FORMA


LA FINANZIARIA


IL BUDGET UE


I COMPROMESSI


AL RIBASSO


FRENANO L’UNIONE


N


on è certo una novità che ogni volta,


quando si tratta di stabilire il budget
dell’Unione europea, avvenga un duro

braccio di ferro tra i suoi partner. È
quanto si è ripetuto nei giorni scorsi,

a maggior ragione, perché occorreva


coprire anche il grosso buco nel bilancio comunita-
rio - (per un ammontare di una settantina

di miliardi), provocato dalla Brexit. Inoltre va messo


in conto il fatto che a una difficile congiuntura eco-
nomica, in corso da alcuni mesi, sono venute ora

aggiungendosi le incognite dovute ai gravi contrac-


colpi dell’epidemia del coronavirus.
Perciò il pacchetto di proposte illustrato dal pre-

sidente del Consiglio europeo Charles Michel, con-


cepito per un bilancio che fosse pari all’,% del
prodotto nazionale lordo dell’Unione europea (ossia

., miliardi di euro), seppur risultasse sostan-


zialmente in linea con quello dell’attuale settennato,
ha sollevato forti obiezioni da parte di quattro Paesi.

Sta di fatto che, essendo fallito questo primo ver-


tice straordinario dei  capi di Stato e di governo sul
futuro budget e sulle sue modalità di ripartizione fra

i vari membri della Ue, i governi detti “amici della


coesione” hanno dato mandato all’Italia (insieme al
Portogallo e alla Romania) di presentare, a un pros-

simo summit, delle controproposte nei confronti


delle pregiudiziali avanzate dai Paesi autodefinitisi
“frugali” (Paesi Bassi, Austria, Svezia e Danimarca),

che non vorrebbero un bilancio complessivo supe-


riore ai mille miliardi e rivendicano inoltre gli sconti
sulle loro contribuzioni ottenuti a suo tempo insie-

me al Regno Unito.


All’insegna di una «Europa ambiziosa» (come ha
dichiarato il presidente del Consiglio Giuseppe

Conte), in quanto dovrebbe essere in grado di at-
tuare politiche più consistenti e innovative agli ef-

fetti di un salto di qualità sia nella governance che


nella competizione globale, appare perciò un com-
pito particolarmente impegnativo quello che il no-

stro Paese s’è assunto. Tanto più che l’Italia non


saliva agli onori della ribalta europea dal settembre
del , da quando Matteo Renzi aveva voluto ce-

lebrare, con un appello per una Comunità europea


più integrata e coesa, il settantacinquesimo anni-
versario del Manifesto di Ventotene radunando

nell’isola pontina la cancelliera tedesca Angela Me-


rkel e l’allora presidente francese François Hollan-
de. Non senza, tuttavia, continuare a battere il

chiodo a Bruxelles perché all’Italia venissero rico-


nosciuti determinati margini di flessibilità nell’im-
postazione della Legge di bilancio, al fine di un

rilancio della nostra economia.


Senza dubbio, dopo che durante il governo giallo-
verde si era giunti a temere un’uscita della Penisola

dall’Eurozona, è un segno tangibile di fiducia il fatto


che l’Italia sia stata oggi incaricata di trovare una
“quadratura del cerchio” a proposito di una questio-

ne politico-istituzionale così importante come quel-


la del futuro budget. Ma si tratta di una missione che
non potrebbe essere in pratica più ardua, dato il

netto contrasto esistente fra le posizioni dei Paesi


“amici della coesione” (tra cui figura pure la Fran-
cia), che puntano sia a una riconferma della Politica

agricola comune (Pac) sia a un maggior impegno in


tema di ricerca, innovazioni, digitalizzazione e sicu-
rezza, e quelle dei Paesi “frugali” che, con l’appoggio

di una parte della classe dirigente tedesca (allarmata
dal rallentamento della propria economia), intendo-

no annacquare il bilancio della Ue: a cominciare dai


dossier per la difesa e la sicurezza, dai fondi per lo
sviluppo territoriale e la coesione sociale, nonché

per la gestione dell’immigrazione.


Del resto, essi non hanno mai fatto mistero di
considerare l’Unione europea come una confedera-

zione intergovernativa e di escludere pertanto la


prospettiva che divenga, un giorno o l’altro, un’enti-
tà sovranazionale di stampo tendenzialmente fede-

rale. Allo stesso modo la pensano i Paesi del Gruppo


di Visegrad, che pur si sono schierati dalla parte
degli “amici della coesione”, essendo interessati alla

Pac e ai fondi strutturali a sostegno delle aree deboli.


Da una nuova tornata di negoziati dovrebbe per-
ciò sortire, come è già avvenuto altre volte, uno sti-

racchiato compromesso al ribasso o comunque tale


da lasciare le cose al punto di prima. Ma col risultato,
alla fin fine, di un’ulteriore battuta d’arresto per la

causa europeista, in quanto già esposta alle prorom-


penti spinte sovraniste in atto nel Continente e a
quelle dovute all’aggressivo unilateralismo del pre-

sidente degli Stati Uniti Donald Trump.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

di Valerio Castronovo

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