24 Giovedì 5 Marzo 2020 Il Sole 24 Ore
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rilasciato il 19-12-2019
ETICA ED ECONOMIA, UN’ALLEANZA PER IL FUTURO
I
n un’economia già fortemente
provata dalla stagnazione e,
nelle ultime settimane, dalle
imprevedibili ripercussioni fi-
nanziarie del coronavirus, di-
venta inevitabile ragionare sulla
fragilità dei nostri modelli econo-
mici, per riprendere il cammino più
forti di prima. Sono fasi di transi-
zione, anche traumatica, in cui ci si
rende conto quanto sia necessaria
una stretta connessione tra l’utile
individuale e il benessere collettivo,
tra la ricchezza privata del cittadino
e la pubblica utilità. Perché quella
connessione ci sia, è necessario che
i princìpi dell’etica convivano sta-
bilmente con le leggi che regolano
la nostra economia: sono ancora
troppe le diseguaglianze che fram-
mentano la nostra società.
Il superamento di quelle disegua-
glianze è stata una delle missioni
che ha segnato la vita di Guido Carli,
in Banca d’Italia come in Confindu-
stria, alla guida del ministero del-
l’Economia e nelle trattative di Maa-
stricht che hanno portato alla nasci-
ta della moneta unica e di una nuova
Europa, che tuttavia Carli aveva so-
gnato diversa, più incline ai bisogni
dei suoi cittadini.
Manca poco meno di un mese,
anniversario della nascita, nel ,
dell’economista, dell’uomo di Stato,
per me più semplicemente di mio
nonno, Guido. È lui che mi ha cre-
sciuto e lo ha fatto sempre alla luce
di valori solidi, trasparenti, forse
d’altri tempi. Sono i valori e le regole
non scritte dell’etica, che devono
ispirare e regolare anche la vita eco-
nomica, non solo le condotte morali.
È un percorso tutt’altro che compiu-
to, necessita di un supplemento di
impegno e di riflessione. Per questa
ragione la Fondazione Guido Carli,
che con orgoglio presiedo, promuo-
ve alla vigilia dell’anniversario della
nascita dell’ex ministro, un con-
fronto dal titolo «Etica e Economia.
Ricchezza privata e pubblico benes-
sere: convivenza possibile?» Si ter-
rà, e non poteva esserci luogo più
evocativo, nell’aula magna Mario
Arcelli dell’Università Luiss Guido
Carli a Roma, dove tanti giovani eco-
nomisti ogni anno vengono formati.
All’appuntamento, che segue
quello di novembre alla Borsa di Mi-
lano su «Etica e Impresa», interver-
rà Vincenzo Boccia, presidente di
Confindustria e della Luiss, mentre
al presidente onorario della Fonda-
zione, Gianni Letta, spetterà il com-
pito di ricordare l’ex ministro del
Tesoro Carli. La sindaca di Roma,
Virginia Raggi, porterà i saluti isti-
tuzionali della Capitale. Quindi, il
dibattito, moderato dal giornalista
de La Giovanni Floris. A confron-
tarsi saranno Marco Bizzarri, presi-
dente e ceo di Gucci; Mara Carfagna,
vicepresidente della Camera dei De-
putati; Franca Leosini, giornalista e
conduttrice Rai; Giovanni Malagò,
presidente del Coni; Giampiero
Massolo, presidente di Fincantieri;
Giuseppina Paterniti, direttrice del
Tg; Antonio Patuelli, presidente
dell’Abi; Giovanni Tria, economista.
Papa Francesco, nell’udienza che
ci concesse alla vigilia della celebra-
zione del decennale del Premio Gui-
do Carli, aveva definito mio nonno
una figura «contrassegnata da spic-
cato senso del dovere e impegno
perseverante per il bene della collet-
tività». Un economista che il Ponte-
fice avrebbe apprezzato in questi
tempi segnati dalla «cultura dello
scarto». E in tal senso, l’appunta-
mento del marzo si inserisce nel-
di Romana Liuzzo
ECCO PERCHÉ LA LEGGE DI BILANCIO
È IL PIÙ MANIPOLATO DEI TESTI SACRI
P
otremmo fare a meno di
tutte le oltre duecentomila
leggi italiane. Tranne di una.
La legge finanziaria è
l’unica che il Parlamento
approva necessariamente
entro la mezzanotte del dicembre
di ogni anno, perché serve a dare at-
tuazione all’articolo della Costitu-
zione. È il pieno di benzina nella mac-
china dello Stato.
Ogni tanto i politici in crisi di co-
scienza le cambiano nome per imbel-
lettarla agli occhi dell’opinione pub-
blica. In principio, alla fine degli anni
settanta, era la legge finanziaria. Poi
legge di stabilità. Ora legge di bilan-
cio. Ma la sostanza, per noi, resta im-
mutata. Tanti numerini sparsi in cen-
tinaia di pagine di tabelline infarcite
di migliaia di emendamenti per risol-
vere (o creare) altrettanti problemi.
È la legge delle leggi. E dato che è
l’unica che il Parlamento sicuramente
approverà, tutto ciò che ci finisce den-
tro sarà magicamente marchiato con
il timbro indelebile della legge. Tasse,
spese, finanziamenti, tagli, agevola-
zioni, obblighi, diritti, divieti e proro-
ghe. I progressi più nobili e le schifez-
ze più abiette. Tutto insieme, affogato
ed equiparato.
La finanziaria è un rito lungo, tan-
trico, che si snoda in tre mesi di pas-
sione. I mesi più faticosi del mio anno
da capo di gabinetto. Ancora di più ora
che non ho più l’età gagliarda delle
prime esperienze ministeriali, quan-
do le notti insonni mi ricaricavano di
adrenalina. Per arrivare fino in fondo
bisogna aver letto i testi sacri e bilan-
ciare passioni e interessi. Che non so-
no né buoni né cattivi. E quindi non
vanno respinti, poiché significhereb-
be respingerli a un livello più profon-
do. E quindi sublimarli.
Il nostro compito è salire su quello
che Giuliano Amato definì «l’ultimo
treno per Yuma». Portare a bordo gli
articoli funzionali ai compiti del mini-
stero. Poi quelli che sorreggono la
carriera del ministro. Infine, se possi-
bile, quelli caldeggiati da qualche
gruppo di pressione a cui siamo per-
sonalmente legati o semplicemente
interessati a coltivare. Un’associazio-
ne ambientalista, una multinazionale
del tabacco, una start up, un’azienda
parastatale.
Non importa chi e perché.
È un compito ingrato, ma qualcu-
no deve pur farlo. Ogni ministro deve
intestarsi qualcosa. Gli incentivi al-
l’auto elettrica, la lotta alle bibite gas-
sate, un festival jazz, una cattedrale da
restaurare. Il capo di gabinetto deve
fare in modo che quella norma, all’al-
ba di Capodanno, sia stampata sulla
Gazzetta Ufficiale. E quindi regolar-
mente in vigore.
Ne va della sorte del ministro, e an-
che della mia. Se il ministro ne uscirà
vincitore, anche le mie quotazioni co-
me buon capo di gabinetto saliranno.
Se tra ottobre e dicembre non sei
disposto a trasfigurarti in un guerrie-
ro e a salire sul ring della finanziaria,
il mestiere di capo di gabinetto non fa
per te. Se non sei pronto a combattere
la lotta più spietata a colpi di commi,
emendamenti, articoli, riformulazio-
ni, ordini del giorno e codicilli, sarai
spazzato via e rispedito a scrivere
sentenze, manuali universitari, pareri
di legittimità.
[...] I tre mesi della finanziaria sono
infernali. Roma viene invasa da lob-
bisti di ogni sorta, in rappresentanza
di ogni tipo di interessi. Pubblici e pri-
vati. Affaristici e no profit. Collettivi e
individuali. Un avvocato d’affari mi
ha raccontato che ormai i suoi clienti
non gli chiedono più di avvicinare mi-
nistri e presidenti di commissione,
ma direttamente i capi di gabinetto.
Prestigiose agenzie internazionali e
intermediari “all’amatriciana” si con-
fondono in un caleidoscopio di ap-
puntamenti, promesse, lusinghe e
minacce, alimentando un mercato
che vale milioni (più gli extra in ne-
ro) e cresce del % l’anno. Tanto che
alcuni di noi, quando escono dal giro
dei ministeri, provano a passare dal-
l’altro lato della barricata. Come Luigi
Tivelli, un ex funzionario parlamen-
tare che ha aperto uno studio di con-
sulenza vantandosi di essere «il Cop-
pi del lobbying».
Per tenerne conto, mentre il Parla-
mento discute, analizza, audisce, si
accapiglia sui decimali, ogni giorno
da qualche parte viene sfornata una
nuova bozza. Nella quale sparisce la
soppressione di una Camera di com-
mercio. E spunta un bicentenario da
sovvenzionare. Si elimina un’esen-
zione fiscale. E si aggiunge una super-
strada da finanziare.
Inutile inseguire le bozze mute-
voli. Bisogna capire da dove escono.
Chi le scrive.
Molti girano a vuoto, si illudono. Io
cerco di non farmi distrarre. La cosa
più importante è sapere qual è il com-
puter buono. Il computer giusto. C’è,
in tutta Roma, un solo computer che
può cambiarti la vita, la carriera o al-
meno la legislatura. Perché contiene
il file della legge finanziaria. Da lì
escono le bozze.
Il file vero. Quello in cui si scrivono
i testi che poi andranno in Parlamen-
to e saranno approvati.
[...] È finita. Quasi. Anche il ma-
xiemendamento va scritto, in un
computer. Il computer buono,
sempre quello. In via XX Settembre,
nella stanza del capo di gabinetto
del ministero dell’Economia o del
suo vice. E io dovrò vigilare che non
di Anonimo
È NECESSARIO
FARE CONVIVERE
IL BENESSERE
COLLETTIVO
CON L’UTILE
INDIVIDUALE
lo spirito dell’evento di Assisi The
Economy of Francesco aperto a gio-
vani economisti di tutto il mondo,
promosso proprio da Papa Bergo-
glio e momentaneamente rinviato
per l’emergenza virus. L’intuizione
del Santo Padre ci trova particolar-
mente sensibili: riteniamo anche
noi che occorra un patto affinché
l’economia di oggi sia più giusta,
equilibrata, sostenibile. In una sola
parola: inclusiva. E lo si può stipula-
re solo con le generazioni più giova-
ni. Sono loro che, per dirla ancora
con le parole del Pontefice, «posso-
no praticare un’economia diversa,
quella che fa vivere e non uccide, in-
clude e non esclude, umanizza e non
disumanizza».
Solo se quel patto intergenera-
zionale andrà in porto, col sostegno
dei governi, allora il superamento
delle diseguaglianze sarà al centro
delle politiche. Solo allora lo Stato,
e ancor più l’Europa, saranno dav-
vero al servizio dell’umanità. È sta-
to il sogno di una vita di Guido Car-
li. Un sogno che i giovani, economi-
sti e non, possono adesso racco-
gliere e realizzare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
mi facciano scherzi.
«Il maxiemendamento è il delitto
perfetto», ha scritto il costituziona-
lista Michele Ainis. Senza castigo,
aggiungo io.
Mi faccio mandare “il maxi”.
Sono stremato. Ma devo resistere,
sono all’ultimo miglio. Lo vivisezio-
no. Elefantiaco, contorto, oscuro. Un
articolo, commi di italica oscurità.
Il maxiemendamento non si depo-
sita mai in Parlamento in formato
elettronico, ma rigorosamente carta-
ceo. Come ai vecchi tempi. La ragione
non è il rifiuto luddistico della tecno-
logia informatica, ma una più pratica
esigenza. Il regolamento prevede che
trascorrano almeno ventiquattro ore
dal momento in cui il maxiemenda-
mento viene depositato dal governo
a quello del voto in Aula. Un giorno
può essere eterno, possono maturare
circostanze che esigono correzioni
volanti al testo. Per esempio, se si sco-
pre che mancano alcuni voti e bisogna
recuperarli con una marchetta di gra-
dimento dei parlamentari riottosi. Al-
lora bisogna aggiungere, correggere,
limitare, estendere, eliminare in ex-
tremis una parola, un rimando nor-
mativo, una cifra.
Se il testo è depositato in formato
elettronico, per email o su una chia-
vetta Usb, la correzione è impossibi-
le: lascerebbe una traccia indelebile
e non sarebbe possibile intervenire
su tutte le copie del file. Invece se
l’originale è stampato, anche a fron-
te di un maxiemendamento di mi-
gliaia di pagine, è sufficiente toglier-
ne una e sostituirla con un’altra
stampata clandestinamente con la
correzione necessaria.
Tutti sanno che è andata così. Che
il testo sacro è stato manipolato. Ma
nessuno potrà mai dimostrarlo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il libro.
Pubblichiamo
un estratto da
Io sono il potere -
Confessioni di un
capo di gabinetto
raccolte
dal giornalista
de La Stampa
Giuseppe
Salvaggiulo
(Feltrinelli, 288
pagine, 18 euro).
L’evento.
La Fondazione
Guido Carli,
alla vigilia
dell’anniversario
della nascita
dell’economista
e statista, il 27
marzo (ore 17
Aula Magna
Mario Arcelli
dell’Università
Luiss Guido Carli,
viale Pola, 12,
Roma) promuove
un confronto dal
titolo «Etica e
Economia.
Ricchezza privata
e pubblico
benessere:
convivenza
possibile?»
UN CAPO
DI GABINETTO
DI LUNGO CORSO
SVELA COME
PRENDE FORMA
LA FINANZIARIA
IL BUDGET UE
I COMPROMESSI
AL RIBASSO
FRENANO L’UNIONE
N
on è certo una novità che ogni volta,
quando si tratta di stabilire il budget
dell’Unione europea, avvenga un duro
braccio di ferro tra i suoi partner. È
quanto si è ripetuto nei giorni scorsi,
a maggior ragione, perché occorreva
coprire anche il grosso buco nel bilancio comunita-
rio - (per un ammontare di una settantina
di miliardi), provocato dalla Brexit. Inoltre va messo
in conto il fatto che a una difficile congiuntura eco-
nomica, in corso da alcuni mesi, sono venute ora
aggiungendosi le incognite dovute ai gravi contrac-
colpi dell’epidemia del coronavirus.
Perciò il pacchetto di proposte illustrato dal pre-
sidente del Consiglio europeo Charles Michel, con-
cepito per un bilancio che fosse pari all’,% del
prodotto nazionale lordo dell’Unione europea (ossia
., miliardi di euro), seppur risultasse sostan-
zialmente in linea con quello dell’attuale settennato,
ha sollevato forti obiezioni da parte di quattro Paesi.
Sta di fatto che, essendo fallito questo primo ver-
tice straordinario dei capi di Stato e di governo sul
futuro budget e sulle sue modalità di ripartizione fra
i vari membri della Ue, i governi detti “amici della
coesione” hanno dato mandato all’Italia (insieme al
Portogallo e alla Romania) di presentare, a un pros-
simo summit, delle controproposte nei confronti
delle pregiudiziali avanzate dai Paesi autodefinitisi
“frugali” (Paesi Bassi, Austria, Svezia e Danimarca),
che non vorrebbero un bilancio complessivo supe-
riore ai mille miliardi e rivendicano inoltre gli sconti
sulle loro contribuzioni ottenuti a suo tempo insie-
me al Regno Unito.
All’insegna di una «Europa ambiziosa» (come ha
dichiarato il presidente del Consiglio Giuseppe
Conte), in quanto dovrebbe essere in grado di at-
tuare politiche più consistenti e innovative agli ef-
fetti di un salto di qualità sia nella governance che
nella competizione globale, appare perciò un com-
pito particolarmente impegnativo quello che il no-
stro Paese s’è assunto. Tanto più che l’Italia non
saliva agli onori della ribalta europea dal settembre
del , da quando Matteo Renzi aveva voluto ce-
lebrare, con un appello per una Comunità europea
più integrata e coesa, il settantacinquesimo anni-
versario del Manifesto di Ventotene radunando
nell’isola pontina la cancelliera tedesca Angela Me-
rkel e l’allora presidente francese François Hollan-
de. Non senza, tuttavia, continuare a battere il
chiodo a Bruxelles perché all’Italia venissero rico-
nosciuti determinati margini di flessibilità nell’im-
postazione della Legge di bilancio, al fine di un
rilancio della nostra economia.
Senza dubbio, dopo che durante il governo giallo-
verde si era giunti a temere un’uscita della Penisola
dall’Eurozona, è un segno tangibile di fiducia il fatto
che l’Italia sia stata oggi incaricata di trovare una
“quadratura del cerchio” a proposito di una questio-
ne politico-istituzionale così importante come quel-
la del futuro budget. Ma si tratta di una missione che
non potrebbe essere in pratica più ardua, dato il
netto contrasto esistente fra le posizioni dei Paesi
“amici della coesione” (tra cui figura pure la Fran-
cia), che puntano sia a una riconferma della Politica
agricola comune (Pac) sia a un maggior impegno in
tema di ricerca, innovazioni, digitalizzazione e sicu-
rezza, e quelle dei Paesi “frugali” che, con l’appoggio
di una parte della classe dirigente tedesca (allarmata
dal rallentamento della propria economia), intendo-
no annacquare il bilancio della Ue: a cominciare dai
dossier per la difesa e la sicurezza, dai fondi per lo
sviluppo territoriale e la coesione sociale, nonché
per la gestione dell’immigrazione.
Del resto, essi non hanno mai fatto mistero di
considerare l’Unione europea come una confedera-
zione intergovernativa e di escludere pertanto la
prospettiva che divenga, un giorno o l’altro, un’enti-
tà sovranazionale di stampo tendenzialmente fede-
rale. Allo stesso modo la pensano i Paesi del Gruppo
di Visegrad, che pur si sono schierati dalla parte
degli “amici della coesione”, essendo interessati alla
Pac e ai fondi strutturali a sostegno delle aree deboli.
Da una nuova tornata di negoziati dovrebbe per-
ciò sortire, come è già avvenuto altre volte, uno sti-
racchiato compromesso al ribasso o comunque tale
da lasciare le cose al punto di prima. Ma col risultato,
alla fin fine, di un’ulteriore battuta d’arresto per la
causa europeista, in quanto già esposta alle prorom-
penti spinte sovraniste in atto nel Continente e a
quelle dovute all’aggressivo unilateralismo del pre-
sidente degli Stati Uniti Donald Trump.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
di Valerio Castronovo