20 Mercoledì 4 Marzo 2020 Il Sole 24 Ore
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STATO & MERCATO
IL CASO TIM
E I BASTONI
TRA LE FIBRE
Q
uando si chiamava Telecom, innumerevoli
erano stati gli interventi pubblici nella vita
dell’ex monopolista delle Tlc. Da quando si
chiama Tim sembrava che non ce ne fossero
stati di nuovi. Con preoccupazione si è quin-
di appreso che, avendo il fondo Kkr manife-
stato l’interesse a prendere una partecipazione fino al %
nella rete secondaria di Tim per contribuire a finanziarne
la transizione dal rame alla fibra, il ministro dell’Economia
Roberto Gualtieri ha tenuto a ricordare a Tim che la rete è
«strategica», come è dimostrato dal fatto che la legge gli
conferisce il potere si esercitare il golden power, vale a dire
di negare il suo consenso. Se neanche il governo, e neanche
il Pd, dimostrano di non considerare che la ex-Stet è
un’azienda privata, non c’è da stupirsi che ancora tanti non
perdonino a Ciampi di averla venduta tutta.
Ma, si dice, la rete deve essere unica: certo, anche questo
è entrato a far parte degli idola fori. Foro italico, perché l’Ue
fin dall’inizio ha promosso la concorrenza infrastruttura-
le. Come è logico che sia, giacché le Tlc sono tecnologie che
evolvono con una rapidità a cui si fa fatica a star dietro:
perfino l’iPhone non ha ancora la possibilità di usare il G.
È solo per l’attrazione di una malintesa analogia che la rete
Tlc viene considerata monopolio naturale. È solo perché
l’acqua è la stessa sempre e per tutti, e perché non si voglio-
no differenziazioni nel modo di fornirla e fatturarla che la
si può considerare monopolio naturale. Sembrava fosse
così anche per l’elettricità, ma l’avvento delle smart city e
la diffusione delle auto elettriche richiederanno il massic-
cio uso di tecnologie digitali che faranno dell’elettricità
qualcosa di sempre più altro dal monopolio naturale.
Quanto alle Tlc, quelle tradizionali sono iper-regolamen-
tate, mentre non lo sono per nulla servizi che tali sono a
tutti gli effetti – quelli degli Ott – ad esempio WhatsApp e
Skype. Non stupiamoci se i capitali scappano dall’Europa;
quanto all’Italia, quando si dichiarano pronti a investire,
alziamo un dito per ricordargli chi qui comanda. È la
Agcom stessa a documentare le conseguenze: nell’intero
comparto Tlc ricavi, occupazione, Ebitda, sono tutti in calo
nel periodo -. E in Europa non è molto meglio,
anzi sarà ancora peggio se prevarrà l’orientamento, enun-
ciato da Ursula von der Leyen, e sostanzialmente ripreso
da Margrethe Vestager e ultimamente anche da Angela
Merkel, secondo cui il ruolo dell’Europa nella competizio-
ne fra America e Cina è quello della regulatory superpower.
Matteo Renzi, per risolvere il problema del ritardo nella
banda larga, promosse la costituzione di Openfiber a fine
. Ritardo probabilmente presunto, dato che l’Italia
poco dopo ha fatto uno straordinario balzo in avanti, anche
perdurando il divieto di usare il vectoring che, data la con-
formazione della rete in rame di Tim, ci avrebbe consentito
di essere tra i primi in Europa. Ma intanto – gabellata come
un risparmio nella posa dei contatori elettrici, sostenuta
da consiglieri di cui alcuni in conflitto di interesse, ben
vista dal Pd ancora vittima di un perdurante complesso di
statalismo – l’operazione Openfiber era partita
Sono passati più di quattro anni, sono stati fatti e asse-
gnati i bandi da Infratel Italia, la stazione appaltante che
gestisce i fondi (stanziati oltre , miliardi) e collauda i la-
vori eseguiti. Openfiber ha ordinato lavori per milioni
ma, a detta dell’Ad di Infratel Marco Bellezza, a causa di
progettazione inidonea sono stati realizzati lavori solo per
milioni, e i comuni collaudabili sono su . C’è chi
parla di un ritardo di due o addirittura tre anni che signifi-
cherebbe il raddoppio dei tempi previsti. Paradossalmen-
te, per fare più in fretta, l’operazione “di sistema” Openfi-
ber sta invece rallentando – per l’incertezza che determina
nel mercato – tante piccole imprese italiane che, specie nel
Nord del Paese e con solo denaro privato, servono già con
le tecnologie wireless oltre , milioni di famiglie nelle aree
disagiate. Ancora una volta è il mercato che rimedia alle
disfunzioni dello Stato. Sulla base di estrapolazioni pru-
denziali, si può prevedere che non meno del % (ma forse
il %) delle utenze previste da Openfiber, a fine progetto,
saranno già state servite dai privati, senza aiuti di Stato.
Tornare indietro, però, non è possibile: i tassi di interes-
se negativi hanno abbassato la soglia minima di profittabi-
lità per rendere i progetti economicamente sostenibili, e
Openfiber non ha avuto problemi a finanziarsi. Ma sulla
rete unica bisogna ragionare. Salvatore Rossi, nuovo pre-
sidente di Tim, ricorda «anche come economista» che Tim
è la sola in Italia ad avere «una simile dote», e che quindi
sarà giusto che continui a gestire la rete fissa «anche se e
quando» ci fosse l’integrazione tra le due reti. In ogni caso,
integrata o no, con altri partner o no, è essenziale che Tim
abbia il controllo anche societario della sua rete, se non
vuole mettere a rischio la sua esistenza come grande
azienda. Per il ministro è «strategico», per il presidente
necessario che «l’Italia non perda il treno hi-tech», per il
buon senso bisogna incominciare a non mettere i bastoni
fra le ruote a ciò che funziona, e a chi vuole investire.
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BREXIT, MENO HUMOUR E PIÙ PRAGMATISMO
C
on la prima settimana
di marzo sono comin-
ciate le negoziazioni
tra Unione europea e
Regno Unito sulle loro
future relazioni dopo la
Brexit. Per cominciare a capire come
si svilupperanno è utile inquadrarne
il contesto, ripercorrendo rapida-
mente le tappe fondamentali delle
recenti manovre di avvicinamento al
qua e al di là della Manica.
Dopo quasi quattro anni dal refe-
rendum britannico sulla Brexit, il
Gennaio il Regno Unito ha la-
sciato l’Unione europea – e la Comu-
nità europea dell’energia atomica
(Euratom). Le modalità del ritiro so-
no disciplinate dall’Accordo di reces-
so (Withdrawal agreement), che rego-
la le pendenze sul dare e avere delle
due parti relativamente a tutti gli im-
pegni reciproci pregressi. Tale accor-
do è entrato in vigore l’ Febbraio
e prevede un periodo di transi-
zione fino al dicembre , du-
rante il quale le norme e i regolamen-
ti dell’Unione continueranno a valere
anche per il Regno Unito. Se per fine
anno le negoziazioni non dovessero
portare a un accordo speciale tra
Unione europea e Regno Unito, i loro
rapporti economici reciproci diven-
terebbero come quelli che attual-
mente intercorrono con i Paesi terzi
dell’Unione. Tutto potrebbe tuttavia
slittare, ma di uno o due anni al mas-
simo, se Unione e Regno converges-
sero su una decisione condivisa di
rinvio prima dell’ luglio .
Che cosa c’è in questo momento
sul tavolo negoziale? Nelle linee gui-
da rese pubbliche il marzo , il
Consiglio europeo ha annunciato la
determinazione dell’Unione a stabi-
lire in futuro una relazione di parte-
nariato con il Regno Unito la più
stretta possibile. Il partenariato ri-
guarderebbe molte importanti di-
mensioni, tra cui la cooperazione
economica e commerciale, la lotta
contro il terrorismo e la criminalità
internazionale, la sicurezza, la difesa
e la politica estera. I princìpi di questa
“relazione speciale” appaiono nella
Dichiarazione politica congiunta del
ottobre : «L’Unione europea e
il Regno Unito sono determinati a
collaborare per salvaguardare un or-
dine internazionale basato su regole
certe, lo stato di diritto e la promozio-
ne della democrazia, nonché alti
standard di commercio libero ed
equo, i diritti dei lavoratori, la tutela
dei consumatori e dell’ambiente e la
cooperazione contro minacce ester-
ne ai loro valori e interessi».
Lungo l’intero percorso, l’Unione
ci ha tenuto a dimostrare tutte le sue
buone intenzioni, ma anche la sua
fermezza. Nelle parole del capo ne-
goziatore dell’Unione, il francese
Michel Barnier: «Negozieremo in
buona fede. La Commissione conti-
nuerà a lavorare a stretto contatto
con il Parlamento europeo e il Con-
siglio. Il nostro compito sarà difen-
dere e far avanzare gli interessi dei
nostri cittadini e della nostra Unio-
ne, cercando di trovare soluzioni che
rispettino le scelte del Regno Unito».
Tuttavia, ha insistito Barnier, è stata
una scelta della Gran Bretagna quel-
la di avere una relazione più distante
di quanto l’Unione volesse. In prin-
cipio, c’è la disponibilità a offrire a
Downing Street un accordo di libero
scambio senza dazi né contingenta-
menti anche più generoso di quello
raggiunto con il Canada, ma, ha ag-
giunto Barnier, a certe condizioni le-
gate essenzialmente a princìpi di fa-
ir play economico. Lo scopo è evitare
che imprese e banche del Regno
Unito sfruttino i vantaggi del Merca-
to unico in modo scorretto rispetto
alle proprie concorrenti europee.
Al buon viso dell’Unione, Boris
Johnson ha finora risposto con carat-
di Gianmarco Ottaviano
È AUSPICABILE
CHE I NEGOZIATI
TRA UE E LONDRA
NON IGNORINO
CRISI MIGRATORIA
E CORONAVIRUS
teristica sprezzante arroganza me-
diatica, rifiutandosi di accettare che
un accordo più generoso di quello
con il Canada comporti necessaria-
mente anche vincoli di fair play più
stringenti. Se poi fosse impossibile
raggiungere un accordo in stile cana-
dese, ha dichiarato Johnson, il Regno
Unito sarebbe ben felice di ricorrere
a un accordo alternativo in stile au-
straliano. Una battuta provocatoria,
dal momento che per ora l’Australia
non ha alcun accordo speciale con
l’Unione europea.
Tuttavia, il British humour, con
cui il primo ministro mostra di sot-
tovalutare le implicazioni della
Brexit per sé e gli altri, sta comin-
ciando ad aprire le prime crepe nella
maschera del buon viso con cui
l’Unione ha finora risposto al cattivo
gioco britannico. Con lo spettro del
coronavirus che si aggira per il mon-
do e la rinnovata pressione migrato-
ria dalle zone di conflitto del Medio
Oriente, nelle prossime settimane,
più che di British humour, ci sarebbe
bisogno di sano pragmatismo an-
glosassone. Alla fine, ciò che resterà
di tutta l’avventura della Brexit, al di
qua e al di là della Manica, saranno
soltanto i suoi effetti pratici.
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L’EUROPA DELLE LITURGIE NON TROVA
UN PASSO COMUNE SULL’EMERGENZA
S
ono settimane che dal-
la Cina il coronavirus
fa il giro del mondo,
semina contagi ed
emergenze infettive
dovunque, sbarca in
Italia e ora corre in tutta Europa.
E sono settimane, più o meno le
stesse, che la Grecia è sotto ricatto
turco, paga morti, feriti e profughi
della crisi di Idlib, la città siriana
vittima della guerra tra Bashar As-
sad e Recep Tayyip Erdogan su cui
soffia la Russia di Vladimir Putin.
La quale mesta anche nella guerra
civile di Libia. Nessuno di questi
conflitti è lontano. Sono tutte trage-
die che si consumano sulle rive del
Mediterraneo, nel cortile europeo.
L’Unione rischia la doppia desta-
bilizzazione: economico-sanitaria
e bellico-umanitaria, ospedali al
collasso, crescita a picco e l’arrivo
incontrollato di migliaia di dispera-
ti illusi dall’improvvisa politica del-
le porte aperte di Ankara.
Come se tutto questo non la ri-
guardasse da molto vicino per
settimane, le stesse, l’Europa ha
lasciato rimbombare silenzio e
indifferenza, sostanzialmente il
suo vuoto sulla scena interna e
internazionale.
Improvvisamente però da due
giorni dà segni di vita e di attivismo.
Ieri missione dei presidenti di
Commissione, Consiglio e Parla-
mento Ue per garantire ad Atene
sostegno, si vedrà se prevalente-
mente simbolico o davvero concre-
to, nella gestione dei profughi che,
spinti dalla Turchia, di nuovo pre-
mono ai confini greci e bulgari per
entrare in Europa. Nel week-end i
ministri degli Esteri Ue affronte-
ranno il ricatto turco: più soldi, do-
po i miliardi elargiti dall’accordo
del , per indurre il sultano a ri-
blindare le proprie frontiere?
A Bruxelles è appena nata anche
una task force composta da com-
missari, tra cui Paolo Gentiloni, per
assistere i Paesi membri nella lotta
al Covid-. Oggi teleconferenza tra
i ministri finanziari Ue per scongiu-
rare il collasso economico.
Tutti gesti necessari: anche suf-
ficienti a ridare credibilità e peso
politico a un’Europa mossa, più che
da volontà e chiare strategie comu-
ni, dai soliti interventi tappa-buchi
per evitare il peggio di oggi e mai
quello di domani? Difficile crederlo.
È vero che in genere l’Unione ri-
sorge nelle grandi emergenze
quando l’immobilismo diventa
esercizio di puro autolesionismo.
Ma è altrettanto vero che oggi l’Eu-
ropa barcolla sui propri vuoti. Per
insanabili divisioni politiche, eco-
nomiche e culturali che ormai da
troppi anni la paralizzano divoran-
dola lentamente.
Niente politiche comuni della
sanità, niente politica estera, di si-
curezza e difesa comuni, niente
politica migratoria comune: tanti
proclami, ma tutte restano di
competenza nazionale. Salvo pre-
carie intese, in formato più o me-
no intergovernativo, in attesa di
riforme Ue sempre annunciate e
mai realizzate.
Quanto precario fosse l’accordo
che nel l’Europa strinse con
Erdogan per disfarsi del problema
profughi siriani al prezzo di mi-
liardi, lo dice del resto la cronaca di
questi giorni: impantanato a Idlib
con l’esercito sotto lo scacco del
patto russo-siriano, persa la fiducia
di Stati Uniti, Nato e Ue per spregiu-
dicatezza e smisurate ambizioni, il
sultano non si smentisce usando la
di Adriana Cerretelli
debole Europa per uscire dall’ango-
lo. Non è escluso che questa non fi-
nisca per dargli una mano.
Ma quanto si può andare avanti
così, con tanti vincoli e innumere-
voli regole comuni ma nel vuoto
delle politiche che più servono a
rispondere ai bisogni primari dei
cittadini, come appunto la salute e
la sicurezza? Se continueranno a
non essere affrontati a livello eu-
ropeo, l’unico capace di risposte
efficaci, finirà per far saltare anche
l’Europa che c’è: anni di brillan-
ti successi e conquiste condivise
anche se imperfette.
Il mondo cambia, si rinnova ra-
pidissimamente ma non venera i
dinosauri stanchi e intorpiditi.
Nemmeno i popoli europei torne-
ranno a onorare i grandi meriti
dell’Europa se non riuscirà a par-
torire politiche che ne cancellino le
insicurezze: cioè soluzioni euro-
pee a problemi europei in un Unio-
ne più al servizio di sé stessa che
dei suoi Stati membri.
Il Covid- forse darà la spallata
decisiva alla globalizzazione da
tempo in crisi. Ma rischia anche di
de-europeizzare l’Europa, che certo
non sta meglio.
Eppure negli anni e compì
un miracolo integrativo che ne fece
l’avanguardia della globalizzazio-
ne, l’anima del multilateralismo e
un modello da seguire dovunque.
Oggi in fondo l’alternativa è
semplice: o si riempie o l’Europa
continuerà a svuotarsi, evaporando
a poco a poco. Conviene a tutti te-
nerla in piedi in un mondo difficile
e incerto. Però bisogna decidersi.
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Eroi di carbone del Burkina
L’OPERA DI LAND ART
Una foto aerea dell’opera dell’artista franco svizzero Saype. Si tratta di
un “fresco” accanto al «Monumento degli eroi» a Ouagadougou, nel
Burkina Faso. La particolarità di quest’opera di land art, lunga oltre 200
metri e che copre una superficie di 5000 mq è che è stata creata con
materiali totalmente biodegrabili: carbone, gesso, acqua. L’opera è la
quinta del progetto mondiale «Beyond Walls» che cerca di promuovere
i valori della fratellanza, della gentilezza e dell’apertura verso gli altri.
AFP
120
RITARDI
Openfiber ha
ordinato lavori
per 488 milioni
ma, a detta
dell’Ad di Infratel
Marco Bellezza,
a causa di
progettazione
inidonea sono
stati realizzati
lavori solo per 162
milioni, e i comuni
collaudabili sono
120 su 530