Internazionale - 28.02.2020

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una panca dell’architetta irachena Zaha
Hadid, e sopra ci sono due sedie dell’arti-
sta e attivista cinese Ai Weiwei: non sono
fatte per sedersi. Mi trovo nella villa dei
coniugi Nadia e Rajeeb Samdani, che
hanno fatto fortuna nei settori immobilia-
re, della logistica e delle telecomunicazio-
ni, e investono in opere moderne e con-
temporanee di artisti asiatici affermati o
emergenti. La collezione si compone di
duemila pezzi, un centinaio dei quali è vi-
sibile a Golpo, la loro abitazione di cinque
piani nel quartiere delle ambasciate. Pre-
notando con largo anticipo, si può girare
gratuitamente per la casa di una coppia di
milionari.
I Samdani sono anche gli ideatori del
Dhaka art summit, biennale prossima alla
quinta edizione, il cui tema sarà “movi-
menti sismici”. È la più grande manifesta-
zione artistica dell’Asia meridionale. Dura
nove giorni e vi partecipano cinquecento
artisti, curatori ed esperti. Decine di mo-
stre, installazioni, workshop e seminari
sono gratuite. La scorsa edizione, nel
2018, ha attirato 317mila visitatori. E poi-
ché i Samdani non hanno più spazio in ca-
sa per la loro collezione privata, sperano di
poter aprire un museo entro un paio d’an-
ni: lo Srihatta, un’ampia proprietà con pa-


diglioni espositivi e una residenza per ar-
tisti sulle colline del tè di Sylhet, nel nor-
dest del Bangladesh.
I risciò tornano molto utili, perché
Dhaka si estende su una superficie enor-
me e le gallerie sono distribuite tra due
quartieri che distano dieci chilometri l’u-
no dall’altro. Dhanmondi è un quartiere
popolare sviluppato intorno a un grosso
lago con gallerie alla moda, come la Ben-
gal Shilpalay, che ha sede in uno splendi-
do edificio di cemento grezzo e acciaio
ossidato. È il quartiere in cui artisti e stu-
denti fanno i loro acquisti.
Nel mercato nuovo ci sono decine di
negozietti che vendono libri e prodotti per
le belle arti. Cavalletti, tavolozze, colori a
olio e pennelli, oltre a romanzi e raccolte
di poesie di scrittori bangladesi, anche in
inglese: nel più grande mercato di Dhaka
si trova di tutto.

Tavoli all’aperto
Gulshan, dove nel 2016 ci fu l’attentato
terroristico in cui morirono 29 persone tra
cui nove italiani, è il quartiere più chic,
con ambasciate, uffici, sedi di multinazio-
nali e strade relativamente tranquille do-
ve si affacciano case imponenti, tra cui
quella dei Samdani. Oltre alle gallerie

d’arte, si trovano luoghi come il cosmopo-
lita Art Café, il ristorante Fool’s Diner,
dall’atmosfera rilassata, e il Jatra Biroti, un
locale vegano con una terrazza per con-
certi. Il mio posto preferito lo scopro per
caso: è il Bengal Boi. Al piano terra ci sono
tavoli all’aperto e libri da sfogliare, mentre
i due piani superiori ospitano una libreria
con un’impressionante sezione di narrati-
va e saggistica anglofona, volumi d’arte,
design e architettura e un bar di ottima
qualità. Un paradiso per chi ama il libri.
“Ovviamente questo non è il volto au-
tentico del Bangladesh”, dice Moham-
med Salman, titolare del ristorante Tree
House, dove si servono succhi freschi, bi-
stecche e frutti di mare. “Per vederlo biso-
gna uscire dalla città, visitare le campa-
gne. O addentrarsi nelle Sundarbans, la
più grande foresta di mangrovie del mon-
do, dove vive la tigre del Bengala. Un po-
sto splendido. Lì la vita è semplice ed eco-
nomica, ma il vantaggio della città è che
offre di tutto: negozi di lusso, belle gallerie
d’arte, bar alla moda e ristoranti eccellen-
ti. Qui serviamo l’aragosta alla Thermidor
per meno di duemila taka (21 euro), guar-
da. Volendo si può visitare una mostra
nuova ogni giorno. Nel resto del Bangla-
desh no, my friend. Solo a Dhaka”. ◆ sm

Il Bengala Shilpalay in un edificio di cemento grezzo e acciaio arrugginito, aprile 2019
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