radiofaro per la localizzazione
del modulo, cosa che
consentirà il recupero entro i
confini della regione
australiana di Woomera, un
territorio quasi disabitato a
nord di Adelaide, dedicato a usi
militari, che gli scienziati
giapponesi hanno avuto il
permesso di utilizzare.
L’SRC di Hayabusa2 è molto
simile a quello atterrato con
successo nel 2010, al termine
della prima missione
Hayabusa, al quale però è stato
aggiunto un piccolo strumento,
il REMM (Reentry Flight
Measurement Module). Il suo
scopo è quello di monitorare in
tempo reale i principali
parametri fisici dello SRC
durante il rientro in atmosfera
e la discesa, tramite un
accelerometro a tre assi, un
sensore di rotazione e ben
tredici sensori di temperatura.
Dotato di una batteria
indipendente, tutti i dati
raccolti saranno conservati in
due memorie flash, il cui
contenuto sarà analizzato uno
volta che l’SRC sarà stato
recuperato e disassemblato.
Bisogna tener presente, però,
che l’SRC non dispone di alcun
sistema di guida. Che
riesca ad atterrare proprio là dove le unità di
recupero lo staranno aspettando, dipenderà solo
dalla precisione con la quale Hayabusa2 sgancerà
il modulo, una volta giunta ai confini
dell’atmosfera terrestre. Se non si calcolano con
assoluta precisione il punto d’impatto con
l’atmosfera, l’angolo e la velocità d’ingresso, non è
possibile poi sapere dove cadrà l’oggetto
proveniente dallo spazio. Ne abbiamo avuto di
recente una prova, con la serie di febbrili
anticipazioni di dove sarebbero potuti cadere i
detriti della stazione orbitale cinese Tiangong-1.
C’era un certo rischio che potessero precipitare
almeno in parte sull’Italia, il che produsse uno
stato di allerta dei militari e della protezione
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Sopra. Le varie fasi della discesa dello SRC, dal rilascio fino
all’atterraggio. Crediti: JAXA/Michele Diodati