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24 Le Scienze 6 15 novembre 2019
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SPL/AGF (
buco nero
)
ASTROFISICA
I buchi neri non hanno capelli
Tre grandezze osservabili sono sufficienti per descrivere questi oggetti celesti
Nel 1967, il fisico Werner Israel dimostrò
che un buco nero statico, non in rotazione,
poteva essere descritto con un solo para-
metro: la sua massa. Il risultato, pubblicato
su «Physical Review», venne esteso negli
anni successivi anche ai buchi neri rotanti
e dotati di carica elettrica, portando a quel-
lo che oggi è noto con il nome di «teorema
no-hair», o «teorema dell’essenzialità». Un
buco nero è caratterizzato solo da tre gran-
dezze macroscopiche esterne ed osserva-
bili: massa, momento angolare intrinseco
(spin) e carica elettrica. Il fatto che non sia
necessario nessun altro dettaglio portò il
fisico John Archibald Wheeler ad afferma-
re che i buchi neri non hanno capelli (hair
in inglese, da cui l’espressione no-hair).
Nonostante i notevoli sforzi teorici, non
esiste ancora una dimostrazione matema-
tica rigorosa e generale del teorema, che
resta pertanto una congettura. Tuttavia,
negli ultimi anni, grazie alla rilevazione di-
retta di onde gravitazionali, gli astrofisici
hanno potuto iniziare a studiare modi per
verificarlo sperimentalmente.
È quanto ha fatto il gruppo guida-
to da Maximiliano Isi, del Massachusetts
Institute of Technology, che ha pubblica-
to uno studio su «Physical Review Letters».
Isi e colleghi hanno analizzato lo spettro
del segnale della prima onda gravitazio-
nale rilevata, GW150914, scoprendo che è
composto da un tono principale e da toni
a frequenze superiori (ipertoni), molto più
deboli, ma comunque evidenziabili grazie
al confronto con simulazioni numeriche.
Proprio forma e intensità di questi toni
ha permesso agli autori di affermare che il
buco nero risultante dalla fusione dei due
buchi neri originali non ha capelli, ovve-
ro che può essere descritto solo da massa
e spin (i buchi neri osservati sono tutti pri-
vi di carica elettrica). Ma si aspettano futu-
re osservazioni per produrre risultati più
stringenti.
Emiliano Ricci
Il protone si è ristretto: una nuova conferma
Il protone è davvero più piccolo di quanto si credeva fino a pochi
anni fa. La conferma – che sembra mettere la parola fine a un
dibattito durato quasi un decennio – arriva da uno studio pubblicato
su «Science» da un gruppo di ricercatori dell’Università di York e
dell’Università di Toronto, guidati da Eric Hessels.
Gli scienziati hanno misurato con grande precisione il raggio del
protone, trovando un valore di circa 0,833 femtometri (poco meno di
un millesimo di miliardesimo di millimetro), ossia del cinque per cento
inferiore rispetto al valore generalmente accettato fino al 2010, quando
una misurazione effettuata al Paul Scherrer Institute, in Svizzera, il cui
risultato era molto simile a quello ottenuto nell’ultimo studio, aveva dato
inizio al dibattito.
Tipicamente il raggio del protone può essere misurato tramite due
tecniche principali. La prima è di natura spettroscopica: si misurano
i livelli energetici degli elettroni di un atomo (di solito un atomo
di idrogeno, composto da un elettrone e un protone), i cui valori
dipendono dalle dimensioni del nucleo dell’atomo stesso. In alternativa,
si bombardano atomi di idrogeno con elettroni, studiandone il rimbalzo.
La tecnica usata nel 2010 era basata sulla spettroscopia, ma con
un elemento innovativo: è stata la prima a usare idrogeno muonico
prodotto in laboratorio, in cui l’elettrone è sostituito da un muone,
particella molto simile all’elettrone ma più pesante.
Inizialmente molti fisici avevano ipotizzato che l’uso di idrogeno
muonico avesse per qualche ragione influenzato la misura, ma un
esperimento del 2017 basato su idrogeno ordinario ha confermato il
risultato del 2010. Ora il nuovo studio di Hessels e colleghi sembra
mettere il punto finale alla vicenda. I ricercatori hanno impiegato ben
otto anni per realizzare un esperimento di alta precisione (basato su
una tecnica sviluppata ad hoc) usando idrogeno ordinario, e ottenendo
un’altra solida conferma: il valore del raggio del protone è in linea con
quello misurato negli esperimenti più recenti.
Matteo Serra