18 Venerdì 1 Novembre 2019 Il Sole 24 Ore
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LE REGOLE DELL’AIM
INVESTITORI RETAIL,
LA LEZIONE
DEL CASO BIO-ON
I
l caso Bio-on ha acceso i riflettori sull’Aim Italia, il
mercato dedicato alle piccole e medie imprese, e su
alcune delle sue regole. In particolare, sul ruolo dei
cosiddetti Nomad, i Nominated advisor, che do-
vrebbero fornire garanzie durante il processo di
quotazione, e sostegno nel periodo successivo.
Bio-on, società produttrice di poliesteri biodegra-
dabili, non è una società qualsiasi. Prima di finire sul
banco degli imputati, valeva da sola quasi un quinto
dell’intero listino Aim. A fine luglio, un report del
fondo attivista americano Quintessential denunciava
varie sue irregolarità, prevedendo un crollo della sua
valutazione. E a fine settembre il Nomad di Bio-on,
EnVent, ha rimesso il mandato, adducendo «l’impos-
sibilità di esercitare le attività di ufficio». Troppo tar-
di, secondo alcuni. Dal ottobre , giorno di pri-
ma quotazione sull’Aim, il valore di Bio-on era au-
mentato vertiginosamente, raccogliendo il risparmio
di investitori istituzionali, ma anche di molti investi-
tori retail. E il conto, adesso, è salato: si parla di circa
milioni bruciati.
E dunque il caso Bio-on, è indubbio, rivela alcuni
limiti significativi dell’Aim. Secondo l’attuale norma-
tiva, la Consob ha competenza solo in materia di
market abuse. A garantire la trasparenza e correttezza
delle imprese non restano che le società di revisione
e, appunto, i Nomad. Che sono centrali durante il pro-
cesso di quotazione, ma nel periodo successivo, inve-
ce, hanno un ruolo non sufficientemente definito, e
soprattutto, essenzialmente, di consulenza. Alcuni
analisti propongono che abbiano un ruolo più ampio,
e più di garanzia. Tuttavia, Nomad con maggiori pote-
ri finirebbero probabilmente per essere solo di intral-
cio alle piccole e medie imprese, senza fornire al mer-
cato la maggiore trasparenza desiderata. Spesso, in-
fatti, si tratta di imprese che lavorano alla frontiera
della tecnologia, con idee molto innovative. E per i
Nomad non sarebbe certo facile coprire con compe-
tenza ed efficienza tutti i settori.
L’Aim Italia è un mercato giovane, istituito nel
per offrire alle imprese più dinamiche l’accesso
a un mercato organizzato, e quindi a capitali privati,
a costi molto ridotti. E, nonostante i limiti emersi, ha
avuto un ruolo positivo. A oggi, l’Aim ospita so-
cietà, in diversi settori. E ha consentito di racco-
gliere circa miliardi di euro. Una regolamentazione
troppo stringente aumenterebbe i costi, disincenti-
vando la quotazione. E d’altra parte, le irregolarità
della Bio-on sono state segnalate dal fondo america-
no Quintessential: a riprova che fosse possibile avere
informazioni sulla redditività e solidità del suo mo-
dello di business. Certo, l’attività di ricerca di Quin-
tessential è molto onerosa, e fuori dalla portata degli
investitori retail. Ma con il profitto ottenuto, Quin-
tessential si ripagherà gli ingenti investimenti af-
frontati. Non bisogna dimenticare che per ogni caso
Bio-on un fondo come Quintessential cestina molti
altri report in cui, dopo analisi approfondite, e le rela-
tive, notevoli spese per effettuarle, mancano elemen-
ti a supporto di una posizione ribassista.
Ma il caso Bio-on dovrebbe essere di lezione anche
per tanti investitori retail. Puntare su imprese poco
regolamentate e non sempre trasparenti, con pro-
spettive incerte, significa assumersi dei rischi consi-
derevoli a fronte di rendimenti medio-elevati. Gli in-
vestitori istituzionali, o comunque, di maggiori di-
mensioni, sono meglio attrezzati sia per valutare i
rischi e i rendimenti attesi di questo tipo di investi-
menti, che per diversificare il proprio portafoglio. E
invece, il successo dei Pir ha attratto nell’Aim molti
investitori retail. E se è vero che l’investimento attra-
verso un Pir consente agli investitori retail una mag-
giore diversificazione, liquidità, e l’accesso a una con-
sulenza specializzata, oltre ai vantaggi fiscali, è anche
vero che il maggiore rischio tipico delle piccole e me-
die imprese potrebbe non essere del tutto chiaro a
questo genere di investitori. Che, tra l’altro, spesso
non sono a conoscenza dei possibili conflitti di inte-
resse degli intermediari che propongono il Pir: che
potrebbero, per esempio, essere a loro volta esposti
verso alcune di queste imprese.
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LA COMMISSIONE ALLA SFIDA DEI CAMPIONI EUROPEI
S
offiano sull’Europa i
venti avversi dei dazi
statunitensi, aggra-
vando gli effetti del
pesante rallenta-
mento della locomo-
tiva tedesca, mentre la Cina prose-
gue inesorabile la conquista di
nuovi mercati nelle nuove tecno-
logie digitali. La nuova Commis-
sione europea deve riscoprire
obiettivi e strumenti della propria
politica industriale. Una politica
che non ostacoli, anzi favorisca la
crescita di “campioni europei”
tecnologicamente avanzati e do-
tati di forza organizzativa capace
di mantenere il controllo del gran-
de mercato europeo e affermare il
proprio potere di penetrazione dei
mercati altrui.
Le critiche alla recente boccia-
tura da parte della Commissione
della fusione Siemens-Alstom
nell’Alta velocità ferroviaria, non-
ché il lento avvio degli Important
Projects of Common European Inte-
rest (Ipcei) come elemento portan-
te della strategia di Horizon Euro-
pe al suggeriscono un paio di
riflessioni in merito.
Primo tema. Al di là dei timori di
una egemonia franco-tedesca (che
il prossimo ritiro del Regno Unito
accentuerà), occorre dare atto che
il manifesto dei ministri Peter Alt-
maier e Bruno Le Maire su «una po-
litica industriale europea per il
esimo secolo» ( febbraio )
rappresenta un’importante spinta
verso il superamento dell’antica lo-
gica dei “campioni nazionali”.
Al tempo stesso va apprezzata
la scrupolosità con cui la Direzio-
ne Ue sulla Concorrenza, di cui la
danese Margrethe Vestager man-
tiene nei prossimi cinque anni la
presidenza, ha sottoposto a severo
scrutinio le motivazioni e i limiti
di quella decisione, anche se sa-
rebbe auspicabile una maggiore
sollecitudine nel rendere pubblici
gli atti relativi. Non dimentichia-
mo che promuovere energica-
mente la concorrenza sul mercato
interno dell’Europa, evitando me-
ga-concentrazioni dell’offerta e
soprattutto abuso di posizione do-
minante da parte degli incumbent,
è condizione irrinunciabile per
promuovere la spinta innovativa
delle imprese, la sostituzione sul
mercato delle imprese meno effi-
cienti con altre più performanti, la
buona mobilità della manodopera
e la crescita del capitale umano.
Peraltro, in anni di applicazio-
ne delle regole Ue sulla concorren-
za, l’Antitrust europeo ha bloccato
meno del % del valore delle pro-
poste di concentrazione.
Per favorire il raggiungimento
di dimensioni aziendali competi-
tive nella gara continentale che
stiamo vivendo, di fronte a propo-
ste di fusione-concentrazione eu-
ropea nel contesto di turbolenza
tecnologica e competitiva esterna,
il giudizio della Commissione do-
vrebbe sempre contemplare un
certo grado di flessibilità, come
alla fine degli anni auspicava-
no (poco ascoltati) gli antesignani
autorevoli della politica antitrust
americana Robert Bork (Yale) e
Richard Posner (Chicago). Una
opzione possibile potrebbe essere
non il rigido divieto dell’opera-
zione, bensì una sua approvazio-
ne ex ante, sottoposta fin da subito
a severe periodiche verifiche ex
post sull’effettivo mantenimento
degli impegni delle parti quanto a
guadagni di efficienza tradotti in
calo dei prezzi a vantaggio dei
consumatori e maggiori investi-
menti innovativi. Verifiche rese
possibili dalla ormai enorme di-
sponibilità di dati statistici micro-
aziendali e microsettoriali attra-
verso cloud e accesso a piattafor-
me di big data. Verifiche accompa-
gnate da una credibile minaccia di
robuste multe per il mancato ri-
spetto degli impegni. Una simile
opzione significherebbe dare ec-
cessiva libertà di mercato e subor-
dinare la politica ai poteri forti dei
giganti multinazionali?
Secondo tema. Già l’articolo
del Tfue prevede che la Com-
missione promuova la collabora-
zione tra Paesi membri su proget-
ti di «comune interesse europeo»
(Ipcei), ma solo nel si sono
mosse le acque, forse ricordando
antichi progetti come Esprit, Ra-
ce, Eureka e altri lanciati negli an-
ni e poi prematuramente esau-
riti. In vista del prossimo Pro-
gramma-Quadro - di ri-
cerca e innovazione, la
Commissione ha rilanciato la pro-
posta di finanziamenti significa-
tivi alla ricerca cooperativa (“pre-
competitiva”) per spingere il set-
tore privato a impegnarsi accanto
agli Stati e alle Regioni su progetti
di largo respiro a valenza sociale
e ambientale, fortemente innova-
tivi, ma (proprio perché altamen-
te rischiosi) bisognosi di un espli-
cito sostegno pubblico. Purtroppo
solo uno, probabilmente troppo
ampio come copertura settoriale
(Microelettronica), è stato finora
faticosamente formulato. Ri-
schiamo tempi biblici nella defi-
nizione di una intelligente strate-
gia continentale, incompatibili
con i tempi decisionali delle im-
prese che competono sul mercato
e con le logiche della rivoluzione
digitale in atto nel mondo. Ora
Bruxelles sembra muoversi verso
la definizione di un secondo pro-
getto sulle batterie, più circoscrit-
to ma della massima urgenza nel
quadro della transizione in corso
nell’industria mondiale verso la
diffusione di veicoli elettrici e
ibridi, con obiettivi di risparmio
energetico ed eco-sostenibilità
ambientale. Aspettiamo la rispo-
sta dei governi, dell’industria e
delle istituzioni di ricerca.
Una sfida non piccola per la
nuova Commissione europea.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
di Fabrizio Onida
ENRICO BRAGGIOTTI, IL BANCHIERE
CHE ANTICIPÒ L’ERA DELLE FUSIONI
L
a terra dove nacque se-
gnò la sua esistenza. Per
tutta la sua lunga vita di
banchiere Enrico Brag-
giotti - scomparso ieri al-
l’età di anni - rimase
profondamente legato alla Turchia,
e poi di seguito al Marocco, dove
aveva a lungo lavorato, e poi al
mondo francese. Con lui se ne va
una delle memorie storiche di
un’epoca, la cui tradizione è stata
raccolta dal gruppo Intesa Sanpao-
lo, il gruppo nato da una serie di ag-
gregazioni successive, un processo
sistemico in qualche modo prefigu-
rato (anche se non realizzato) dallo
stesso Braggiotti, forse il primo fra
tutti, alla fine degli anni .
Nasce nella città di Zonguldak,
sul Mar Nero, nel gennaio del ,
anno chiave nella storia della Tur-
chia: pochi mesi dopo, Mustafa Ke-
mal Atatürk diventa presidente e il
grande Paese diventa laico e avvia
un percorso di agganciamento del-
l’Occidente, come si vede mai com-
pletato. Il padre è dirigente della
Banca Ottomana, ma la famiglia in
quei mesi lascia la Turchia, forse
per il peggioramento del clima in-
terno, che fu segnato da forti scon-
tri. Per una curiosa coincidenza in
quegli anni a Costantinopoli, poi
Istanbul opera in banca anche Ber-
nardino Nogara - sarà il primo pre-
sidente dello Ior nel - che nella
città sul Bosforo dirige la Società
Commerciale d’Oriente (Comor),
emanazione della Comit (la prima
filiale era stata aperta proprio Co-
stantinopoli nel ). C’era forse
un destino già scritto, o forse no, ma
la famiglia si trasferisce a Monte-
carlo, che poi diverrà la sua casa fi-
no alla fine. Dopo la Comit, prima a
Casablanca dove nascerà il figlio
Gerardo, anche lui banchiere - poi
Milano e in giro per il mondo, ma la
carriera vera la costruisce in sede,
dirigendo l’ufficio titoli, che un
tempo raggruppava tutto, dalla
Borsa ai titoli di Stato, fino all’inve-
stment bank. Tanti affari, molti utili,
la carriera va veloce.
L’uomo - ricordano le persone
che gli hanno lavorato a fianco, or-
mai tutti ritirati - aveva una spicca-
ta capacità di intessere relazioni,
soprattutto internazionali, e ag-
ganciare i business. È negli anni
che nasce per impulso della Comit
la Compagnie Monégasque de Ban-
que, che presiederà dopo l’uscita
dalla banca, e che entrerà poi nel-
l’orbita di Mediobanca. Poi nel
, appena divenuto presidente
dopo quattro anni da amministra-
tore delegato, decide il salto: a New
York la Irving Bank è sotto attacco
della Bank of New York e la Comit
fa il passo verso l’acquisizione. Un
fatto mai accaduto fino ad allora.
Non solo: la svolta è la crescita per
acquisizione, che le banche italiane
non conoscevano (sarà poi il man-
tra degli anni -). Le cose fi-
lano lisce e pareva cosa fatta fino a
quando non interviene la Federal
Reserve che impone il fermo. Moti-
vo: la Comit era controllata dall’Iri,
holding industriale agli occhi degli
americani (in Italia era chiaro che
era cosa ben diversa) e negli Stati
Uniti questo tipo di mescolanze
non è consentito in base al Bank
Holding Company Act del .
Banca e industria, insomma, devo-
no camminare separate e quindi se
la Commerciale fosse voluta anda-
re avanti, l’Iri avrebbe dovuto cede-
re le attività manifatturiere. La Co-
di Carlo Marroni
mit rinuncia, ma Braggiotti nell’as-
semblea degli azionisti del a
piazza Belgioioso si leva un sasso-
lino, butta sul tavolo la questione e
ipotizza che si debba pensare a un
“distacco” da Via Veneto (sede del-
l’ambasciata Usa in Italia), se si
vuole crescere nel mondo. Forse
un’eresia, all’epoca, ma non nel
quadrilatero di piazza Scala. Lascia
l’anno dopo e va a Montecarlo, atti-
vo per un quindicennio ancora con
la Compagnie. Una stagione breve
quindi al vertice - specie rispetto al
suo grande predecessore Raffaele
Mattioli, che conobbe da vicino -
ma significativa per molti versi. La
stagione che seguirà sarà segnata
dalla privatizzazione - dove Me-
diobanca giocherà un ruolo chiave
- e poi dalle offerte di acquisto pri-
ma come soggetto (respinta per
l’Ambroveneto) e poi come ogget-
to, dentro Intesa.
Scrisse Romano Prodi, commen-
tando le memorie di Braggiotti: «La
Comit era “non politica”, nel senso
che pur essendo sempre presente
nella vita del Paese, si faceva scudo
dell’alta qualificazione professio-
nale del suo personale per creare
una classe dirigente che non ri-
spondeva a logiche di provenienza
politica. Tra questi i migliori veni-
vano scelti con un forte coinvolgi-
mento di Mediobanca, che gestiva
direttamente, attraverso le sue par-
tecipazioni (Fiat, Montedison, Pi-
relli etc) gli affari più delicati». Per
Prodi «il modello Comit servì in
questo senso un po’ a tutto il Paese
in quanto in Italia si creò (almeno
per un certo periodo di anni) un cer-
to rispetto nei confronti delle gran-
di banche da parte della politica».
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L’autore. Docente del dipartimento
di Economia e finanza della Luiss
Guido Carli dal 2009, dopo aver
conseguito laurea e master in
Economia politica all’Università
Bocconi e un PhD in Economics
alla Boston University.
5%
LE PROPOSTE
BLOCCATE
In trent’anni
di applicazione
delle regole Ue
sulla concorrenza,
l’Antitrust
europeo ha
bloccato meno
del 5% del valore
delle proposte di
concentrazione.
AGF
Una vita per la Comit. Il banchiere Enrico Braggiotti è
scomparso ieri, all’età di 96 anni. Nato nel 1923 in Turchia,
cresce nel Principato di Monaco. Fa il suo ingresso nella
Banca Commerciale Italiana nel 1950 a Casablanca, in
Marocco, e negli anni successivi ricopre incarichi sia in Italia
che all’estero. Dal 1960 è alla Direzione centrale a Milano,
amministratore delegato nel 1984 e presidente nel 1988.
Nel 1990, Braggiotti lascia la presidenza della Comit e si
ritira nel Principato di Monaco, dove diventa presidente della
Compagnie Monégasque de Banque.