- Adesso la sente, la ragnatela, capitano?
Orlandi spiegò una cartina di fronte al prigioniero. - Dov’è Dora?
Martini lasciò l’ufficio stipato di carabinieri che seguivano l’interro-
gatorio attraverso il monitor a circuito chiuso, e la Pellegrini lo seguì
fino all’area fumatori. La pioggia e l’aria fresca le tolsero di dosso solo
parte della sensazione di sporco che la vista di Gert le aveva lasciato.
- Non lo dirà mai.
- Perché?
- Lei parla il finlandese, dottoressa?
- No.
- Riuscirebbe a rispondere alle domande di un poliziotto finlande-
se? - Chiederei un interprete.
Viktor annuì. - È quello che manca a noi. Non abbiamo un interprete. Gert parla
una lingua che solo un’altra persona può comprendere oltre a lui.
Peccato sia morta. - Hannes?
- Penso di sì.
- Secondo lei perché Gert l’ha ucciso?
- Gert non è pericoloso, dottoressa. Si sta difendendo. Probabil-
mente è da quando è nato che si difende. Più lo interrogano, più si
chiuderà. - Se l’abbiamo preso...
Martini scosse la testa. - Non l’abbiamo preso. È questo il punto. Gert ha ragione, noi sia-
mo mosche che credono di essere ragni. - Il Gis...
- Ho parlato con uno di loro. Non hanno visto Gert, hanno visto due
tizi appostati con le armi in pugno. È stato mentre si avvicinavano a
loro che hanno capito che quei due avevano il soggetto nel mirino. Il
Gis ha beccato gli eroi, non Gert. - Due eroi che avrebbero potuto avvertirci.
Un sorriso mesto sul viso del capitano. - A giudicare dalle armi che gli hanno sequestrato, sono bracconie-
ri. Non vanno d’accordo con le divise. E ora sono delle star. Scommet-
to che li vedremo all’edizione di mezzogiorno del tg.
La Pellegrini poteva persino immaginarli, circondati da una folla
festante, o addirittura ospiti di qualche talk-show. - Capitano, lei pensa che Dora sia viva?
- Penso al fatto che Gert abbia parlato di ragni, mosche e loro. Non
riesco a togliermelo dalla mente, Per quel che riguarda Dora, dotto-
ressa, fa parte del nostro lavoro crederlo.
Dopo aver urlato, pianto ed essere precipitata in una specie di dor-
miveglia, Dora aveva iniziato a studiare il luogo in cui si trovava. La
pioggia aveva diminuito la già scarsa visibilità all’interno della gab-
bia di cemento e roccia in cui Gert l’aveva rinchiusa, ma quando un
fulmine si abbatté poco distante, riuscì a scorgere il suo zaino in un
angolo.
Strisciando lo raggiunse e ne rovesciò il contenuto, finché non tro-
vò ciò di cui aveva bisogno. Il suo coltello multiuso. Aprire la lama
con le mani legate dietro alla schiena richiese del tempo, e quando ci
riuscì Dora aveva diversi tagli sulle dita. Il dolore, comunque, era nul-
la in confronto alla prospettiva della libertà, così non ci diede peso e
iniziò a usare la lama come aveva visto fare in migliaia di film. Impie-
gò un’eternità a slegare i polsi: le corde da scalatore di Gert erano ro-
buste. In compenso, tolte quelle, con le gambe fu uno scherzo. Dora
si lasciò andare a un grido di trionfo. L’eco le smorzò l’entusiasmo.
Zoppicando si avvicinò alla fessura da cui proveniva la luce, si se-
dette e con grande cautela srotolò gli stracci che Gert le aveva rifilato
al posto degli scarponcini. Il piede sinistro aveva solo qualche graf-
fio, il destro era coperto di sangue rappreso, era gonfio e pulsava. Gat-
tonando, la ragazzina raggiunse le confezioni di acqua e ne versò un
po’ sulla ferita trattenendo il respiro. Era un taglio di quattro, forse
cinque centimetri. Si era formata una crosta sottile e scura, ma lì do-
ve la pietra aguzza era ancora conficcata nella carne, usciva sangue e
la carne era arrossata. A denti stretti Dora estrasse la pietruzza, stu-
pendosi di come una cosa così piccola potesse fare tanto male, e la
gettò usando una delle imprecazioni preferite di sua madre. Il san-
gue riprese a sgorgare dalla ferita, quindi Dora recuperò lo zaino e
usò una maglietta per fasciare alla meglio il piede. Al termine dell’o-
perazione era in un bagno di sudore, nonostante il freddo. Forse era
fame, pensò. Era da parecchio che non metteva qualcosa sotto i den-
ti. Normale si sentisse debole. Invece non riuscì a fare altro che sgra-
nocchiare mezza barretta al muesli. Aveva i brividi e le facevano ma-
le le ossa.
Pianse.
Si addormentò.
Tre ore di interrogatorio: niente. Al capitano Orlandi non era mai
successo. C’erano criminali che ci mettevano anche il doppio o il tri-
plo per sputare il rospo, ma si trattava di gente scafata, che era già sta-
ta in carcere e che agiva per uno scopo ben preciso. Più che interroga-
tori, erano partite a poker. Scopri una carta e vedi che fa l’avversario,
cerchi di intuire cosa sa e cosa vorrebbe sapere e ne scopri un’altra.
L’obiettivo, per quei tizi, era ottenere il rito abbreviato o uno sconto
della pena.
Gert, invece, non faceva certi calcoli. Lui era chiuso nel suo mon-
L’animale più pericoloso Luca D’Andrea
I continua
. Martedì, 20 agosto 2019^