Dopo avermi preparato il letto - continuando a parlare anche fra di loro per mostrare chi fosse più
esperto e quindi più meritevole di rispetto, borbottando spesso tra di loro ed ogni tanto offendendosi
neanche tanto scherzosamente - spensero la luce e la cella rimase leggermente illuminata soltanto
grazie al corridoio adiacente le cui lampade bianche, di luce fredda, rimanevano sempre accese.
Vedendo che il detenuto affianco al mio letto era ancora sveglio, essendo stato quello che più di
tutti mi aveva accolto e sistemato il letto, ed intuendo che volesse parlarmi per conoscere me e la
mia storia, ne approfittati per informarmi sulle caratteristiche della cella transito ove mi trovavo e,
nella penombra e con molto garbo, gli chiesi a bassa voce: “da quanto tempo state in questa cella?
È vero che ci devo restare solo qualche giorno e poi mi assegnano quella definitiva?”.
Lui molto garbatamente, ed a bassa voce, mi rispose: “fratello caro, qui dentro ognuno di noi ha la
sua storia, ognuno deve fare un percorso diverso! Io mi trovo qui da mesi e non mi hanno ancora
spostato, mentre quello sopra di me è arrivato da pochi giorni e forse proprio domani lo portano ai
piani superiori, nella cella definitiva. Credo che anche a voi vi porteranno fra qualche giorno, se ve
lo hanno detto, e ve lo auguro perché questa cella è sempre chiusa mentre le altre sono aperte la
maggior parte del tempo durante il giorno e potete stare nel corridoio. Qua siamo reclusi sempre,
giorno e notte!”.
Da un lato mi fece piacere la sua risposta così completa e dettagliata, perché voleva dire che stavo
stabilendo un buon rapporto di solidarietà reciproca con tutti, e dall’altro però mi preoccupai per la
cella sempre chiusa.
In ogni caso risposi: “grazie tante per la spiegazione, io mi chiamo Giovanni ma tutti mi chiamano
Gianni, voi come vi chiamate?”. Lui rispose fiero e felice di fare la mia amicizia: “Matteo, mi
chiamo Matteo, piacere!”. Io gli feci un cenno e gli dissi: “piacere mio, buonanotte!”.
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