Tornò in tempi rapidissimi e mi consegnò tutto l’occorrente per la notte, osservandomi sempre con
gli stessi occhi amorevoli ma molto determinati, quasi da fare impressione.
Ammirai molto Anna in quelle circostanze, mostrò il meglio di sé come donna, compagna,
avvocato, ed anche come cittadina di un Paese ingiusto e da terzo mondo!
Capii che avrebbe davvero fatto di tutto per farmi uscire, infatti iniziò a lamentarsi anche con i
poliziotti affermando che era davvero assurdo che una persona come me, seriamente malata da 40
anni, potesse essere condotta in carcere senza alcuna premura sanitaria! Infatti se Anna non mi
avesse portato le mie medicine quella sera non le avrei assunte perché nel carcere certamente non
sarebbero state disponibili, ed avrei rischiato gravi conseguenze.
Dopo le procedure di rito io ed Anna ci salutammo, e ciascuno di noi fece di tutto per
tranquillizzare l’altro, io con sorrisi rassicuranti, lei con sguardo fiero e combattivo che mi lasciava
aperta la speranza nelle sue capacità giuridiche di trovare soluzioni più umane rispetto ad una
carcerazione che, nel nostro immaginario, ci teneva tutti sulle spine non sapendo che ambiente avrei
trovato nella cella. Oltretutto ormai era notte tarda, e quindi tutto sembrava avvolto da un tetro
alone di mistero e di oblio satanico.
Vidi la sagoma di Anna allontanarsi da me, come se andasse via dalla mia vita, dalla mia nuova
dimensione di recluso, e pensai che forse avrei perso anche lei nel lungo periodo di detenzione
previsto, nonostante la sua verve battagliera del momento.
Mi feci forza comprendendo anche che, da quel momento in poi, nella mia vita avrei dovuto fare
appello a tutte le energie che avevo nel corpo e nella mente, in una sorta di battaglia quotidiana per
la sopravvivenza che sarebbe divenuta, molto probabilmente, un nuovo stile di vita, e tornai nella
sala d’attesa della Questura.
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