L\'Espresso - 22.03.2020

(WallPaper) #1
Italiavirus / L’umanità che cambia

DI GIUSEPPE GENNA

SULLA CARNE

Il nostro sguardo piegato

A lungo è stata negata. Dalla tecnologia, dal virtuale, dall’ideologia


dell’impalpabile. Ora la sua importanza riemerge, potente. Nei


malati, certo, ma anche negli abbracci negati e nei corpi rinchiusi


n una via dietro il carcere di San Vittore a Mila-
no, dove solo qualche giorno fa si alzava fumo
nero da materassi incendiati, ho assistito a
un’installazione che non voleva esserlo. Sul
muro dove da sempre vengono aissi annunci
di concerti, spettacoli, eventi teatrali a centi-
naia, ora erano abbacinanti decine e decine di
manifesti, bianchi, il logo del comune in nero e
la scritta severa dei necrologi pubblici: “Spazio non assegna-
to”. Nessuna pubblicità aissa, poiché non succede più nul-
la. La certiicazione della spettralità. Una sospensione delle
attività. L’indicazione, né pudibonda né pietosa, della città
disincarnata. Che infatti sembra un immane fossile, un nau-
tilus concentrico privo di muscolo, di corporeità. Non c’è
nulla di selvatico in questo vasto osso radiale che è la città
cava e svuotata. Svuotata di cosa? Potremmo dire: dei corpi.
Ma vogliamo dire di più: della carne.
Il nostro sguardo è piegato ora a vedere la carne ovunque.
Viviamo il ritorno della carne. Non si vedono i corpi nasco-
sti nei penetrali delle terapie intensive, ma si percepisce la
carne che sofoca. Negli obitori sovrafollati, si immagina-
no corpi anonimi in massa, cioè la carne. I corpi, cancellati
dalla pubblica circolazione e immaginati nel con-
ino delle case nella metropoli, avvicinano all’e-
sperienza totalizzante della carne, che è qualcosa
di più informale e misterioso del corpo. Nei corpi
sotto isolamento, che si azionano per mantenersi
in forma o generano jogging meccanici, il regno
della carne è stimolato, colpito, convocato nella
sua totalità. Il corpo mostra gli afetti, la carne
evidenzia l’anima. L’incubo dell’estinzione, che
aleggia in queste ore costellate di perdite così nu-


I

merose e dolorose, è una fantasia che riguarda qualcosa di
sostanziale e ubiquitario: ed è la carne. La carne, ovvero il
fenomeno materiale e la potenza teologica del vivente, è il
regno in cui siamo immessi, è il nostro esilio e mai del tutto
il nostro eden. È ciò con cui il sistema, precedente il conta-
gio, non permetteva di fare i conti. Sembra di avere vissuto
anni, decenni di progressiva disincarnazione. Il sistema
economico, che produceva disincarnazione e dissociazio-
ne, era disumano a partire dal fatto che non era carnale e
non tollerava i sussulti e i sogni della carne, cioè le ribellio-
ni, i forti dinieghi, le ipotesi del rovesciamento. Alla scom-
parsa dei fatti, alla digitalizzazione progressiva degli afetti
e delle conoscenze, è corrisposta un’astrazione della carne.
La carne è un fatto sensibile spirituale. L’incarnazione è il
mistero a cui siamo posti di fronte, come un sole equivoco
che ci illumina il volto accecato. Adesso siamo strappati
dalla distrazione, siamo riportati alla carne.
Ecco le visioni della carne.
Scena dei morti. Nella chiesa di Ognissanti a Bergamo,
all’interno del cimitero, appoggiate alle pareti, stipatissi-
me, a pochi centimetri l’una dall’altra, un centinaio di bare
sigillate con lo zinco, una itta sequenza, occupano tutto lo
spazio sacro, in sotto l’altare, sono squadrate e
noi non vediamo i corpi, ne ricaviamo l’idea con-
fusa della carne, pronta a disfarsi, già si disfa.
Nessuna identità, nessuna storia, la distanza si-
derea dallo sguardo dei cari: nessun corpo. I pa-
renti non hanno potuto nemmeno posare lo
sguardo sull’ultima immagine dell’amato. I corpi
sono stati inseriti velocemente, appena cadaveri,
nudi o con un pigiama indosso, nel sacco a bar-
riera biodegradabile. Privata dei nomi, trionfa la
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