Internazionale - 28.02.2020

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Il capitalismo politico cerca di convin-
cere i cittadini rivendicando una migliore
capacità di gestione della società, tassi di
crescita più elevati e un’amministrazione
più efficiente (compresa l’amministrazio-
ne della giustizia). A differenza del capita-
lismo liberale, che può assumere un at-
teggiamento più rilassato verso i problemi
temporanei, il capitalismo politico deve
sempre stare all’erta. Questo, in realtà,
può essere un vantaggio dal punto di vista
del darwinismo sociale: costretto a offrire
sempre di più ai suoi elettori, il capitali-
smo politico può affinare la sua capacità
di gestire la sfera economica e continuare
a garantire, anno dopo anno, più beni e
servizi rispetto al capitalismo liberale. Ciò
che appare inizialmente come un difetto
può rivelarsi un vantaggio.
Ma a questo punto sorge una doman-
da: i nuovi capitalisti cinesi continueran-
no ad accettare una situazione in cui i loro
diritti formali possono essere limitati o
revocati in qualsiasi momento e in cui so-
no sotto la costante tutela dello stato? Op-
pure, diventando più forti e numerosi, si
organizzeranno, influenzeranno lo stato
e infine se lo prenderanno, come è suc-
cesso negli Stati Uniti e in Europa? Il per-
corso dell’occidente delineato da Karl
Marx sembra avere una logica inflessibi-
le: il potere economico tende a emanci-
parsi e a imporre i suoi interessi. Ma in
Cina quasi duemila anni di rapporto disu-
guale tra stato e imprese rappresentano
un grosso ostacolo verso questo sviluppo.

La questione fondamentale è se i capi-
talisti cinesi arriveranno a controllare lo
stato e se, per farlo, useranno la democra-
zia rappresentativa. Negli Stati Uniti e in
Europa i capitalisti hanno adottato questa
cura con parsimonia, somministrandola
in dosi omeopatiche man mano che i loro
affari crescevano e interrompendola ogni
volta che c’era una potenziale minaccia
per i grandi proprietari (come nel Regno
Unito dopo la rivoluzione francese, quan-
do furono imposte enormi limitazioni al
diritto di voto). Se mai dovesse nascere, la
democrazia cinese potrebbe somigliare
alle altre democrazie di oggi, nel senso di
concedere il diritto di voto a ogni cittadi-
no. Tuttavia, dati il peso della storia e la
natura precaria e le dimensioni ancora li-
mitate della classe dei grandi proprietari,
non è detto che in Cina la classe media
possa acquisire un ruolo dominante. L’e-
sperimento fallì già all’inizio del novecen-
to con la Repubblica di Cina (che dominò
su gran parte del continente dal 1912 al
1949); molto difficilmente potrà riuscire
cento anni dopo.

Convergenza plutocratica
Cosa riserva il futuro alle società capitali-
stiche occidentali? La risposta dipende
dalla capacità di questo modello di evol-
vere verso uno stadio più avanzato, dicia-
mo verso un “capitalismo popolare” in cui
il reddito da capitale e quello da lavoro si-
ano distribuiti in modo più equo. Per fare
in modo che questo succeda bisognereb-

be allargare la proprietà del capitale ben
oltre l’attuale 10 per cento della popola-
zione e rendere l’accesso alle migliori
scuole e ai posti di lavoro meglio pagati
indipendente dalla storia familiare.
Per perseguire l’obiettivo di una mag-
giore uguaglianza, i paesi dovrebbero in-
trodurre incentivi fiscali per incoraggiare
la classe media a detenere più risorse fi-
nanziarie, alzare le tasse di successione
per i più ricchi, migliorare l’istruzione
pubblica gratuita e prevedere campagne
elettorali finanziate con fondi pubblici.
Queste misure permetterebbero di dif-
fondere meglio nella società la proprietà
del capitale e delle competenze.
Nella sua attenzione alla disugua-
glianza, il capitalismo popolare sarebbe
simile al capitalismo socialdemocratico,
ma aspirerebbe a un diverso tipo di ugua-
glianza: invece di concentrarsi sulla ridi-
stribuzione del reddito, cercherebbe una
maggiore uguaglianza tra i patrimoni, sia
finanziari sia di competenze. A differenza
del capitalismo socialdemocratico, ri-
chiederebbe solo modeste politiche di
ridistribuzione (come i sussidi e gli aiuti
per gli alloggi ai più poveri), perché
avrebbe già realizzato una maggiore
uguaglianza di fondo.
Se non riusciranno ad affrontare il pro-
blema della disuguaglianza, i sistemi ca-
pitalistici meritocratici liberali corrono il
rischio di imboccare un’altra strada, che
non porterà al socialismo ma a una con-
vergenza con il capitalismo politico.
L’élite economica occidentale diventerà
sempre più isolata, esercitando un potere
senza limiti su società apparentemente
democratiche, più o meno come succede
oggi in Cina. Più il potere economico e
quello politico si fondono nei sistemi ca-
pitalistici liberali, più il capitalismo libe-
rale diventa plutocratico e assume i tratti
del capitalismo politico. In quest’ultimo
modello, la politica è il modo per ottenere
vantaggi economici; nel capitalismo plu-
tocratico – ex meritocratico liberale – il
potere economico conquisterà la politica.
Il punto di approdo finale dei due sistemi
sarà lo stesso: il progressivo isolamento di
pochi privilegiati e la riproduzione a tem-
po indeterminato delle élite. ◆ fas

Dalla serie Insert coins. Las Vegas, Stati Uniti, 2016

L’AUTORE
Branko Milanović è un economista
statunitense di origine serba specializzato
nello studio delle disuguaglianze. In Italia
ha pubblicato Ingiustizia globale. Migrazioni,
disuguaglianze e il futuro della classe media
(Luiss University Press 2017).
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