Le Scienze - 11.2019

(Tina Sui) #1

48 Le Scienze 6 15 novembre 2019


Illustrazione di Bud Cook


no in laboratorio erano fatte sedere al centro della stanza e veniva
fatto loro indossare un visore per la VR, con una videocamera an-
teriore. Erano invitate a guardarsi intorno nella stanza e a vedere,
con la videocamera, come era la stanza in quel momento. All’im-
provviso però, senza avvertirli, commutavamo il segnale video: a
quel punto il dispositivo visualizzava non più la scena del mondo
reale dal vivo, ma il video panoramico preregistrato. In questa si-
tuazione, buona parte dei soggetti continuava a sperimentare co-
me reale quello che vedeva, anche se si trattava di una preregistra-
zione finta. In realtà è qualcosa di molto complicato da realizzare,
perché richiede un bilanciamento del colore e un allineamento ac-
curati, per evitare che i volontari si accorgano di qualche differen-
za che potrebbe allertarli del cambiamento.
Trovo questo risultato affascinante perché dimostra come sia
possibile indurre le persone a sperimentare un ambiente non reale
come se lo fosse pienamente. Questa semplice dimostrazione apre
nuove frontiere alla ricerca con la VR: possiamo verificare i limiti
di quello che le persone potranno sperimentare, e credere, come
reale. Inoltre ci permette di indagare come il fatto di sperimenta-
re le cose come se fossero reali influenzi altri aspetti della perce-
zione. Attualmente stiamo svolgendo un esperimento per scoprire
se le persone sono meno brave nel percepire cambiamenti inattesi
nella stanza quando loro stesse credono che quello che stanno spe-
rimentando sia reale. Se le cose andranno così (lo studio è in cor-
so), il risultato alimenterebbe l’idea per cui la percezione delle co-
se come reali agisce in qualità di un a priori di alto livello che può
sostanzialmente modellare le nostre ipotesi percettive ottimali, in-
fluendo sul contenuto di quello che percepiamo.

La realtà della realtà
L’idea che il mondo della nostra esperienza possa non essere
reale è un tema ricorrente della filosofia e della fantascienza, co-
me pure delle discussioni da bar, a ora tarda. Nel film Matrix, Neo
prende la pillola rossa, e Morfeo gli mostra che quello che lui pen-
sava fosse reale è, invece, un’elaborata simulazione: il Neo reale
giace invece in un fabbrica di corpi umani, un cervello in un vaso
di vetro come fonte di energia per un’IA distopica. Il filosofo Nick
Bostrom, dell’Università di Oxford, ha fatto scalpore quando ha af-
fermato, basandosi soprattutto sulla statistica, che probabilmen-
te noi viviamo in una simulazione al computer creata in un’epo-
ca postumana. Non condivido questo argomento. Presuppone che
la coscienza si possa simulare – non credo sia una ipotesi fondata –
ma è comunque intellettualmente stimolante.
Sebbene siano divertenti spunti di riflessione, questi impegna-
tivi argomenti metafisici sono forse impossibili da risolvere. Inve-
ce quello che abbiamo esplorato in questo articolo è la relazione
tra apparenza e realtà delle nostre percezioni coscienti, dove una
parte di questa apparenza è l’apparenza di essere reali in sé.
L’idea centrale è che la percezione sia un processo di inferen-
za attiva orientata all’interazione adattativa con il mondo tramite
il corpo, invece che una ricreazione del mondo dentro la mente.
I contenuti dei nostri mondi percettivi sono allucinazioni con-
trollate, le ipotesi migliori di natura cerebrale sulle cause sostan-
zialmente inconoscibili dei segnali sensoriali. E molti di noi, per
buona parte del tempo, percepiscono come reali queste allucina-
zioni controllate. Come mi ha suggerito il rapper e comunicato-
re di scienza canadese Baba Brinkman, quando concordiamo sulle
nostre allucinazioni, forse quella è ciò che chiamiamo realtà.
Ma non sempre concordiamo, e non sempre sperimentiamo
le cose come reali. Le persone affette da problemi psichiatrici di

COME UN PALEOBIOLOGO
CERCA LE RISPOSTE

L’unità fondamentale di verità

in paleobiologia è il fossile


  • una chiara documentazione di vita del passato – ma sfruttiamo
    anche le prove genetiche di organismi viventi, che ci aiutano a
    collocare i fossili nell’albero della vita. Insieme, ci aiutano a capire
    come queste creature sono cambiate e quale relazione di parentela
    c’è tra loro. Poiché esaminiamo animali estinti, vissuti in ecosistemi
    più ampi, raccogliamo informazioni da altri campi: l’analisi chimica
    delle rocce circostanti per avere un’idea dell’età del fossile, dove
    potrebbero essere state le masse continentali a quell’epoca; quale
    tipo di cambiamento ambientale era in atto, e così via.
    Per scoprire i fossili, perlustriamo il territorio per scoprirli tra le rocce.
    Potete cogliere la differenza tra un fossile e una qualsiasi roccia
    antica da forma e struttura interna. Per esempio, un osso fossile avrà
    minuscoli cilindri, detti osteoni, dove un tempo il sangue scorreva
    lungo l’osso. Alcuni fossili sono evidenti: una gamba di dinosauro è un
    osso completo, gigantesco. Ma anche frammenti più piccoli possono
    essere eloquenti. Nel caso dei mammiferi – il mio oggetto di studio

  • possiamo imparare molte cose dalla forma di un singolo dente. E
    possiamo combinare questa informazione con la genetica, usando
    campioni di DNA da creature viventi che pensiamo siano imparentate
    con i fossili, sulla base dell’anatomia e di altri indizi.
    Facciamo queste indagini non solo per ricostruire mondi passati, ma
    anche per capire che cosa possono insegnarci sul mondo attuale. Per
    esempio, 55 milioni di anni fa ci fu un enorme picco di temperatura.
    Nulla di simile a oggi, eppure abbiamo trovato cambiamenti radicali
    in animali e piante di quell’era. Possiamo confrontare questi
    cambiamenti per capire come creature imparentate potrebbero
    reagire all’attuale cambiamento climatico.
    Anjali Goswami è professore e research leader
    al Natural History Museum di Londra; testo raccolto da Brooke Borel

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