30 Mercoledì23Ottobre2019 Corriere della Sera
●
diAntonioPolito
LASINISTRA
CHESPAVENTA
ICETIMEDI
C’
è una coazione a
ripetere nei governi
cui partecipa la
sinistra da 25 anni a questa
parte; una specie di
maledizione, come se lassù
ci fosse qualcuno che le
vuole talmente male dafarle
commettere sempre lo
stesso errore. Il quale
consiste nello spaventare
fiscalmente i ceti medi ma
senza produrre risultati che
portino sollievo effettivo ai
ceti popolari. Sefosse
ancora vivo il grande storico
Carlo Cipolla, avrebbe
potuto aggiungere al suo
aureo libretto una ulteriore
leggefondamentale della
stupidità, stavolta politica.
Le settimane della manovra
finanziaria sono state uno
straordinario esercizio di
masochismo.Terminato nel
più classico dei modi,
ovverosia con il rinvio delle
proposte più controverse,
l’abbassamento del limite
dei contanti, delle sanzioni
per i commercianti che non
si dotano delPos, del
carcere per gli evasori.Ma
l’impressione provocata da
queste misure è rimasta
viva nel ricordo di chi le
temeva: i lavoratori
autonomi hanno capito
benissimo che solo la
debolezza del governo ne ha
fermato la mano. Allo stesso
tempo le risorseracimolate
per il taglio del cosiddetto
«cuneo fiscale» (un altro
Santo Graal della sinistra),
al massimo 3 miliardi, non
sono tali da potersi
aspettare che nelle case dei
lavoratori areddito fisso si
festeggerà ilNatale
brindando al governo.
In materia fiscale la politica
degli annunci è suicida. Le
cose o sifanno o non si
fanno. Un tempo si metteva
tutta questa parte nel
decretone di fine anno
proprio per tagliare corto
alle discussioni. Oggi invece
il governo è così dilaniato
tra gli interessi elettorali
divergenti dei tre
contraenti, quanto se non
più del precedente, che
ognuno ritiene le proprie
sorti distinte e divergenti da
quelle degli altri, e dunque
combatte all’ultimo sangue
anche sulla più
insignificante delle accise. Il
ritorno di un ministro
«politico» alTesoro (che
mancava dai tempi della
Prima Repubblica, all’inizio
anche Tremonti era un
«tecnico») avevafatto
sperare in una guida di
questo caotico processo.
Così non è stato. E non certo
solo per colpa del povero
Gualtieri.
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SEGUEDALLA PRIMA
U
n terzo segno della decadenza del-
laforma partitosta nella sostitu-
zione dei programmicongli
schieramenti.Unavoltaipro-
grammi dei partiti erano libri dei
sogni,contenevano moltepro-
messe non mantenute, ma indica-
vano un percorso, spesso aspira-
zioni,comunque il disegno di una
società futura. Ora il vuotod’idee
è riempito da quella che un gran-
de studioso americano da poco
scomparso definì «single issue
politics», la politica fattacon sin-
golitemi, senza unacornice.
L’«offerta politica» si risolve quin-
di in unaodue proposte, per lo
più ispirateall’interpretazione
che ilcapo dà degli interessicor-
porativi dell’elettorato (Francesco
De Sanctis nel suo Viaggio eletto-
rale riferisce quel che gli scriveva
un suo elettore: «gli entusiasmi
passano, gli interessirestano»).
Percompiaceregli elettori, ora
tutti i partiti propongono riduzio-
ni delle imposte, ritenute «colpi a
prodottieposti di lavoro», «bal-
zelli».Ipartiti si accusanoreci-
procamentediessere«il partito
delle tasse». Nessuno dice, però,
quali servizi vuole ridurre, quali
scuole e ospedali vuole chiudere,
quali diritti sociali limitare, per ri-
durre le tasse.
Questa inconsistenza associati-
vaeideale dei partiti produce
molti effetti:volatilità dell’eletto-
rato,destrutturazione organizza-
tiva (sempre menocongressi, riu-
nioni di sezioni, di segreterie e di
altri organicollegiali: ad esempio,
Anna MariaParente, senatricePd,
ha dichiarato al Corriere della Se-
ra , il 5ottobre scorso, che nel suo
partito«purtroppo non ci si par-
la»), abbassamentodel livello
qualitativodei parlamentari (e
conseguente esaltazione del ruolo
deicapi), trasformazione del di-
battito politico in unteatrino dei
pupi o in una lotta tra galli.
Maipartiti non si sono ridotti
soltanto in meri seguiti elettorali.
Rifiutano persino la denomina-
zione di «partito». Solo5dei 49
partiti iscritti nella prima parte
del «registro nazionale dei partiti
politici» hanno la parola «parti-
to» nella loro denominazione uf-
ficiale e solo uno di quelli rappre-
sentati inParlamento laconserva.
Si ha timore, evidentemente, di
doversi qualificarecon un aggetti-
vo(partito socialista, partito libe-
rale, partitocomunista, partito so-
cialdemocratico). Anche al loro
interno, si rifugge dalla parola
partito: in Italia viva,èsostituita
con«casa».Peressaeper ilPd,
l’organizzazione (segreteria, pre-
sidenza, direzione nazionale,e
così via) è una «squadra» (ilcalcio
insegna).
I partiti, che sarebbero lo stru-
mentodella democratizzazione
delloStato, sono, quindi,aloro
volta non democratici, purcon-
servando, peraltro,come ho scrit-
to all’inizio, ben saldo il loro piede
nelloStato, in cui mantengono
(ma solo in virtù dell’investitura
quinquennale derivante dalle ele-
zioni) tutti i poteri.
I partiti di cui hocercatodi trat-
teggiare la decadenza, che hanno
perso il loro radicamento sociale,
corrispondono ben poco al figuri-
nocostituzionale. L’articolo 49
della Costituzionecomincia dai
cittadini e dall’associazione: «tutti
icittadini hanno dirittodiasso-
ciarsi liberamenteinpartiti per
concorrerecon metodo democra-
ticoadeterminarelapoliticana-
zionale». Leforze politiche attuali
hannoconservatoben pocodel-
l’associazione: ci si potrebbe chie-
dere se non abbiano ragione a ri-
fiutare di ricorrere al lemma «par-
tito».
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LADECADENZA(IGNORATA)
EILVUOTODIIDEEDEI PARTITI
CrisiUnavoltaiprogrammieranolibrideisogni,contenevano
moltepromessenonmantenute,maindicavanounpercorso,
spessoaspirazioni,comunqueildisegnodiunasocietàfutura
diSabinoCassese
ANALISI
&
COMMENTI
❞ Legittimazione
Sononaticonunpiede
nellasocietà,l’altronello
Stato.Hannoconservato
ilsecondoeperdutoilprimo
T
ra le moltecose che possono
mutarerapidamentenon è
possibile annoverare il siste-
ma sociale, inteso nella sua
accezione più tradizionale di
organizzazione delle istituzionicollet-
tive. D’altra partelapolitica, che do-
vrebbecostituireilveropropulsore
della trasformazione innovativa, ap-
pare sempre più avviluppata in analisi
statiche ed astoriche risultando inca-
pace di avviare i necessari processi di
cambiamento sociale. Il superamento
della sempre più evidente suaconno-
tazione sovrastrutturale, non potrà av-
venire fintanto che il dibattito sarà in-
centratosulla gestione dell’ordinaria
amministrazione.
Idati della crescita economicaita-
liana ne sono un esempio plastico. Il
Paese, dall’inizio del nuovosecolo, è
cresciutodel 2,8% rispettoal22,2%
dell’Eurozona. Imputarne in via esclu-
siva laresponsabilità al debito pubbli-
cosarebbe una semplificazione ingiu-
stificata poiché, se si riuscisse ad acce-
lerare lavelocità del Pil, quantomeno
portandolo in lineacon quello deiPa-
esi del Nord Europa, il debito diminui-
rebbe. Se ciò non accadeèperché la
produttivitàtotale,comprensivadi
quella del lavoro, èferma alla metà de-
gli anni Novanta del secolo scorso.
Lacausa principale del sottosvilup-
po socio economicodell’Italia, che
piacciaomeno,vaindividuata nel
mancato riconoscimento dellacentra-
lità del ruolo della cultura. In partico-
lare, dei profili essenziali che lacon-
notano,vale a dire: l’istruzione, lafor-
mazione e lacomunicazione.
L’istruzione, checoinvolge il siste-
ma scolasticonel suo insieme, deve
essere rivalutata nella sua funzione di
stimolo ad implementareilpatrimo-
nio delleconoscenze e delle esperien-
zee ciò oltre che per trovare occupa-
zione lavorativa anche perconseguire
riconoscimenti sociali ed economici.
Si puòcontrastareladelusione del
crescentenumerodei Neet, giovani
che non studiano, non lavorano e non
seguonoalcun percorso diformazio-
ne, ripristinando il criterio meritocra-
tico, abbattendo i privilegi e i nepoti-
smi e premiando lo studio.
La scuola non deveesseresovrap-
posta alla famiglia in quanto è incari-
cataasvolgereunruolo dicollega-
mento tra questa e la società e, quindi,
a preparare alconfrontocon larealtà
che purtroppo è irta di ostacoli e im-
pone sfide che se affrontatecon insi-
curezza potrebbero risultare distrutti-
ve. Alla famiglia, anche nella suacom-
posizione più moderna, lasciamo la
funzione di protezione dalle insidie
del mondo esterno, semmai evitando
che i genitori siano sempre ecomun-
que avvocati difensori ad oltranza dei
figli.
Per quanto riguarda l’Università, bi-
sogna prendereattoche le riforme
che si sono susseguite negli ultimi lu-
stri,volte per lo più ad implementare
la percentuale dei laureati, non hanno
prodottoirisultati sperati,come do-
cumenta l’Eurostat checolloca l’Italia
nella penultima posizione in Europa;
appena prima dellaRomania.
È tempo di puntare alla qualità piut-
tosto che sulla mera quantità dei lau-
reati per i quali, al fine di aumentarne
il numero, è stato preordinato un per-
corso di studi diciamo pureagevole,
caratterizzatodapromozioni assicu-
rate. L’autonomia dell’Università deve
essere attuata nel senso più profondo
ispirato dall’art. 33 della Costituzione
piuttosto che in chiave imprenditoria-
le, secondo la quale la severità del per-
corso accademicodialcuni Atenei
non invoglia all’iscrizione presso gli
stessi.Unpericolo che si ritiene debba
esserescongiuratopoichécompro-
mette ilreperimento di risorse econo-
miche.
Ovviamente ilcambiamento dirotta
non può interveniresesicontinua
nella progressiva sottrazione di risor-
se finanziarie,come avviene ormai si-
stematicamente a partire dalla crisi fi-
nanziaria del 2008. Il nostroPaese non
viaggia nei bassifondi delle classifi-
che dell’Unione Europea soltanto per
scarsità di laureati bensì anche per i fi-
nanziamenti agli Atenei. Ètempo che
si superi laconcezione per la quale fi-
nanziarel’Università rappresenti una
semplicespesaeaccederedefinitiva-
mente all’idea che, percontro, si tratta
di un importanteedimprescindibile
investimento.
L’altroaspettofondamentale è
quello dellaformazione. Se svolta ef-
fettivamente anzichécome spesso av-
viene soltantoformalmente,realizza
unveroprocesso educativo attraverso
il qualeèpossibile trasferirelecom-
petenzenecessarie allo svolgimento
deicompiti periquali sièpreposti,
tantonel settoreprivatoquantoin
quello pubblico. Soltanto un’adeguata
formazionecostituisce, ad esempio
nel settoredella sicurezza del lavoro,
la prevenzione e la protezione da adot-
tare per la gestione e la riduzione dei
rischi.
Infine, ma non meno importante
degli altri, è lacomunicazione merite-
vole di tutela massima in quanto bene
prezioso. La riflessione di Francis Ba-
con, per il quale «sapereèpotere»,
evidenzia chiaramente che ignorare la
causa di qualunquefenomeno ne pre-
clude l’effetto. È possibile prestare un
correttoconsenso a qualsiasi iniziati-
vasoltanto se si hanno le adeguateco-
noscenze.Unaprerogativamolto
compromessa per la predominanza di
fakenews.Unfenomeno che altera
l’apprendimento e determina un rapi-
do passaggio dalla fiducia alla sfiducia
e dalconsenso al dissenso.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
diGerardoVillanacci
LECOSEDAFARE
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secondocuifinanziare
l’Universitàsiaunaspesae
nonuninvestimentoimportante
ILLUSTRAZIONEDI
DORIANOSOLINAS