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di domenica 11 agosto 2019è stata di 309.258 copie
Codice ISSN online 2499-0817
S
econdo i partiti populisti e i media di destra, sia la
sinistra che i politici liberali e conservatori moderati
sarebbero troppo timidi per attuare le drastiche misure
necessarie a fermare i flussi migratori verso l’ Europa.
Agli occhi degli esponenti della destra, questi profeti della
cultura dell’accoglienza rischierebbero, con la loro
ingenuità, di ottenere il contrario di quanto dicono di
volere, incoraggiando un numero sempre maggiore di
insoddisfatti ad affrontare i pericoli della traversata, e
rendendosi così corresponsabili della sorte di tante vittime.
Per quanto suggestive, queste accuse, ripetute
incessantemente come un mantra, sono del tutto infondate.
Nel contrasto all’immigrazione illegale non sono i populisti
di destra a rivelarsi più efficienti, ma proprio i
socialdemocratici.
Il fine della difesa dai flussi migratori può legittimare
qualunque mezzo, o esiste un linea rossa da non superare?
È ammissibile consegnare scientemente i profughi nelle
mani di criminali? In breve: fino a che punto è legittimo
agire verso i migranti «come se non ci fosse un domani», per
citare le parole del presidente tedesco Frank-Walter
Steinmeier? Sarebbe ora di incominciare a pensare
seriamente a possibili alternative alla deterrenza e
all’arroccamento, considerando ad esempio le proposte
avanzate da un esperto come l’austriaco Gerald Knaus: la
stipula di accordi di accoglienza con vari Stati africani, in
cambio di somme di denaro e dell’assicurazione di
contingenti legali di migranti economici; e l’accelerazione,
co- finanziata dall’Ue, dei procedimenti per il
riconoscimento del diritto d’asilo nei Paesi di primo arrivo
dell’Europa meridionale, per rendere accettabili i tempi
d’attesa. E infine una procedura sistematica e coerente per
il rimpatrio dei non aventi diritto. Ma finora i dissidi in seno
all’Ue hanno impedito qualsiasi soluzione compatibile con i
tanto evocati valori occidentali.
© Lena – Leading european newspaper alliance
Sandro Benini è membro del Settore Opinioni
del Tages-Anzeiger, Zurigo
Traduzione di Elisabetta Horvat
©RIPRODUZIONE RISERVATA
di Sandro Benini
Lettera dall’Europa / Tages-Anzeiger
Chi ha il pugno più duro
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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di Carlo Petrini
Q
uando, qualche anno fa, un gruppo di cittadini ha
deciso di costituire la comunità dei “custodi dei
castagneti”, in alta Valle Tanaro, al confine tra
Piemonte e Liguria, sembrava un esercizio di
amarcord. Recuperare l’economia della castagna,
valorizzare quei boschi, aprirli ai visitatori
promuovendone la scoperta, mettere in rete la
ristorazione affinché sostenesse la castagna locale
come prodotto identitario appariva come un progetto
nel migliore dei casi marginale. Ora, a distanza di
tempo, questa idea è realtà e sta contribuendo
concretamente a ricostruire una microeconomia in
un’area montana a forte rischio abbandono e
spopolamento.
Da un altro punto di vista, quando sono partiti i primi
bandi a sostegno delle attività commerciali di
prossimità nelle aree interne, sembrava un indebito
tentativo di contrastare un naturale processo di
concentrazione del commercio nei Comuni più grandi
e popolati. Eppure anche questa misura sta iniziando a
dare risultati interessanti, con piccole attività che
ripartono e giovani che restano o addirittura tornano.
Perché le botteghe sono l’anima dei borghi, perché
sono luoghi in cui si ri-costruisce comunità e
appartenenza e dove rinascono servizi fondamentali
per gli abitanti, dagli alimentari alla parafarmacia
all’edicola al bar, magari tutti riuniti nello stesso luogo
fisico. La bottega moderna è infatti tutto questo, e le
nuove tecnologie consentono di integrare ulteriori
servizi come ad esempio il ricevimento e l’invio di
pacchi. Di pari passo si potrebbe parlare dei forni
comunitari, che negli ultimi anni hanno visto un nuovo
sviluppo e che interessano sempre più territori, segno
di una voglia e di un bisogno di comunità e di
partecipazione, di cooperazione e di collaborazione.
Un esempio è quello di Cerignale, in alta Val Trebbia,
ma vale lo stesso per Oulx in Val Susa o per
Pescomaggiore in provincia dell’Aquila. Il tema della
rivitalizzazione delle aree marginali è centrale: i piccoli
Comuni occupano più del 50% del territorio italiano e
rappresentano un inestimabile patrimonio di
biodiversità culturale, agricola, gastronomica,
naturalistica e architettonica. Tutto questo è e può
diventare fonte di ricchezza se collocato in un disegno
di economia circolare, ri-localizzazione, promozione di
un turismo ecologico vero. L’agricoltura può e deve
ovviamente essere al cuore di questo processo, perché
è il comparto che maggiormente può mettere a valore,
attraverso pratiche virtuose, queste risorse. Occorre,
però, che i finanziamenti non siano distribuiti a
pioggia, ma, ad esempio, indirizzati a chi in montagna
fa veramente allevamento e ci vive, perché è una delle
attività qualificanti: tutela l’ambiente, contribuisce a
rendere fertili terreni, fornisce prodotti gastronomici
buoni ...
Da poco si sono celebrati i 100 anni dalla nascita di
Nuto Revelli, che seppe cogliere un’Italia che
cambiava. Il suo racconto di come la civiltà rurale con i
suoi riti sia stata soppiantata in maniera rapidissima
dal modello del capitalismo globalizzato è, insieme alle
analisi di Pier Paolo Pasolini e di Mario Rigoni Stern,
una delle eredità più grandi dell’analisi sociologica dal
Dopoguerra fino agli anni Settanta. E tuttavia, a fronte
di un continuo spopolamento dei piccoli paesi (2000
Comuni, in prevalenza montani, hanno perso più del
20% della popolazione negli ultimi 40 anni, con 300
che hanno una percentuale di spopolamento che va dal
50 all’80%), oggi qualche segnale positivo rispetto a
una possibile inversione di tendenza lo possiamo
intravedere. È necessario però intervenire per
garantire servizi necessari a consentire alle persone di
non abbandonare i piccoli borghi. I piani di riordino
amministrativo che interessano le scuole così come gli
uffici postali o i trasporti pubblici dovrebbero tenere a
mente che senza servizi una comunità non ha futuro.
Nel disegno e nell’implementazione delle politiche
pubbliche varrebbe la pena ragionare, come sottolinea
Massimo Castelli, sindaco di Cerignale e coordinatore
dell’Anci per i piccoli Comuni, non solo sul numero di
abitanti. Infatti, se diminuiscono i servizi, a ruota
diminuiscono gli abitanti avviando un circolo vizioso
difficile da invertire. Le potenzialità delle aree
marginali al contrario sono enormi: le nuove
tecnologie consentono anche alle zone più remote di
fare rete. Dobbiamo pensare un’Italia in cui il
benessere sia diffuso e in cui sia possibile costruire
opzioni di vita promettenti a tutte le latitudini. Il vero
simbolo dell’italianità e del savoir-vivre del Bel Paese
abita nei piccoli borghi.
Carlo Petrini è il fondatore dell’associazione Slow Food
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Il futuro delle comunità
L’italianità abita
nei piccoli borghi
di Ilvo Diamanti
Mappe
Il vincitore annunciato
C
osì l’avventura del governo gialloverde è finita. Da
tempo, aveva cambiato colore. Era divenuto
verdegiallo. Ma ormai i due colori stridevano. Incompatibili.
E la rissa continua che lo accompagnava non era più
giustificabile come uno stile di lavoro. Per sottolineare
distanze e differenze. Il governo Conte, in effetti, si era
tradotto, fin dall’inizio, in un governo Di Maio-Salvini.
Meglio, Salvini-Di Maio.
Ma ormai anche questa formula si è esaurita. Troppo
squilibrio fra i due vice. E fra i partiti della maggioranza. Il
rapporto di forza in Parlamento, disegnato dalle elezioni
politiche del 2018, si è rovesciato, come segnalavano da
tempo i sondaggi. Come hanno confermato, da ultime, le
elezioni Europee. Ormai, al governo c’è un solo partito e un
solo capo. Un solo Capitano. Salvini. Anche se il grado di
fiducia nei confronti del governo e del suo presidente resta
elevato (circa il 60%, secondo Demos). Ma un premier troppo
forte, per Salvini, costituisce un possibile problema... Meglio
votare presto. Anzi, subito. Prima di affrontare le tensioni
prodotte dalla legge di bilancio. Meglio battere il ferro fin
quando è ancora caldo. Così, mentre discende le coste
dell’Italia (le uniche “piazze piene”, d’estate), Salvini ha
chiamato il Paese alle urne. Chiesto “pieni poteri”.
Abbandonando gli alleati alla loro sorte. Così, è facile
pensare che si andrà presto a nuove elezioni. Alle quali la
Lega del Capitano si presenterà, per vincere e governare. Da
sola. Oppure affiancata da soggetti politici in sintonia, se
non sottomessi, alla Lega. O meglio: a Salvini. Perché la
novità, rispetto al passato recente, è che oggi Salvini viene
prima della Lega. Com’è stato, in passato, per Berlusconi e
Forza Italia. Così oggi Salvini candida se stesso. La Lega
diventa un veicolo. Per trainare l’uomo solo al comando. Una
prospettiva che piace molto agli italiani. Visto che oltre due
terzi, fra loro, pensano che “a guidare il Paese ci vorrebbe un
uomo forte”. Bene: l’uomo forte oggi è pronto a guidare il
Paese. Alla testa degli italiani. Che, in larga maggioranza, lo
attendono. Secondo i sondaggi più recenti, infatti, la Lega,
insieme ai FdI, supererebbe il 45%. Una base elettorale che,
con il Rosatellum, potrebbe permettergli di raggiungere
l’obiettivo. Soprattutto se impersonata da un Capo popolare
come Salvini. Affiancato da un gruppo di esperti nella
comunicazione molto abili. Così, presto, potrebbe andare in
onda il reality: “Salvini, solo contro tutti”. L’unica soluzione
possibile ai nostri problemi. Generati dalla confusione.
Dall’in-decisione. Salvini: unico baluardo contro l’invasione.
Contro gli stranieri. Contro l’Europa che non ci aiuta.
Mediatore e garante, a metà fra la Russia di Putin e gli Usa di
Trump.
È possibile, e anche più, che questo progetto si possa
realizzare. I sondaggi, come si è detto, delineano un clima
d’opinione favorevole. Alla Lega e soprattutto a Salvini.
Tuttavia, le elezioni sono un’altra cosa. Come abbiamo visto
in altre occasioni, nell’ultimo decennio. Durante il quale la
personalizzazione si è accentuata. E le elezioni si sono
trasformate in una faccenda – in una competizione –
“personale”. Ma il clima d’opinione nei confronti di un
leader cambia, può cambiare. In fretta. E i “vincitori
annunciati”, alla prova del voto, non sempre trionfano. Gli
esempi, a questo proposito, non mancano. Ne rammentiamo
solo alcuni. Bersani, alle elezioni del 2013, aveva già vinto.
Così dicevano i sondaggi. Sbagliavano. E Bersani, da allora
non si è più ripreso. Prima di lui, nella politica italiana, si
affermò Mario Monti. Salvatore della Patria, dopo la caduta
di Silvio Berlusconi, alla fine del 2011. Un non-politico. O
meglio: un “tecnico al governo”. Raggiunse, nei sondaggi
d’opinione, indici di fiducia elevatissimi. Molto superiori al
70%. Così decise di trasformarsi egli stesso in un partito.
Fondò “Scelta Civica”, a propria immagine e somiglianza.
Alle elezioni del 2013 ottenne un buon risultato. Ma inferiore
alle attese. E si avviò, rapidamente, al declino.
Prima di lui, Gianfranco Fini, dopo la rottura con Silvio
Berlusconi, nel 2010, tentò a sua volta, la strada del partito
personale. “Futuro e Libertà”, che, alle elezioni del 2013,
ottenne meno dello 0,5% dei voti. Cioè: nulla. Per risalire più
vicino ai nostri tempi, possiamo evocare un caso molto
diverso. Il Pd guidato da Matteo Renzi. Un partito con radici
profonde. Tuttavia, Renzi ne personalizzò il profilo e
l’immagine. Io stesso lo ribattezzai PdR. Il Partito di Renzi.
Che ottenne risultati importanti. Soprattutto alle elezioni
Europee del 2014. Tuttavia, successivamente, declinò.
Soprattutto dopo il referendum istituzionale, trasformato da
Renzi in un referendum personale. Che fallì, determinando
il rapido declino di Renzi e del Pd (R). Naturalmente, Salvini
non è Renzi. Tanto meno Monti e Fini. La sua Lega, oggi, ha
una base larga e solida. Eppure, trasformare le elezioni in un
referendum personale rischia di produrre effetti imprevisti
anche per lui. Le elezioni Europee non fanno testo. Come
dimostra l’esperienza di Renzi. Ormai l’elettorato è mobile. Il
voto: è divenuto liquido. E, comunque, la sua popolarità
personale è cresciuta in un quadro di “coalizione”. La
coabitazione con il M5s ha permesso a Salvini di scaricare su
di loro le colpe dei problemi irrisolti. Peraltro, il premier
Giuseppe Conte ha offerto un’immagine rassicurante della
coalizione. E ha favorito l’azione di Salvini. Il vero capo. Il
Capitano: comanderà da solo. Senza “ammortizzatori”,
intorno a sé. Con qualche rischio. Perché recitare la parte del
“vincitore annunciato” non sempre conviene ...
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pagina. (^26) Commenti Lunedì, 12 agosto 2019