E quando qualcuno si permetteva di continuare a parlare lo affrontava viso a viso, faccia a faccia, e
gli imponeva di obbedire: “se non ti stai zitto ti scotenno vivo!!”.
E così capii che il vero capo della cella era lui, mentre il più anziano si limitava a controllare gli
altri col suo carisma ed il rispetto che si era conquistato con decenni di carcere, ed in ogni caso
entrambi mi tutelavano da tutti i rischi possibili.
Il rispetto come medico e le domande continue
Fui sorpreso da tante attenzioni riservatemi da quei due protettori, e sostanzialmente anche dagli
altri detenuti, infatti tutti erano dispiaciuti nel vedere un medico del 118 rinchiuso insieme a loro.
Spesso mi rivolgevano domande sulla loro salute e su quella dei loro cari, ed anche sul coronavirus:
“dottore io soffro di emicrania oftalmica, la mia terapia non funziona più tanto bene, ci sono nuovi
farmaci? Dottore io ho problemi di ansia ma le gocce che mi danno non bastano più, che posso
prendere? Dottore io ho avuto un incidente con la moto, mi sono salvato per puro caso, ed adesso
ho ferri e bulloni da tutte le parti nelle gambe! Dottore mia sorella ha problemi alla schiena che
non riesce a risolvere, che potrebbe fare?”. Qualcun altro, sapendo parlare solo in dialetto
napoletano, mi chiese: “Dottò, ma non è che u’ virus arriva qua dentro e ci “arricetta” tutti? Come
ci possiamo difendere?”
E tante altre domande ogni giorno, più volte al giorno, ed io ero contento di rispondere sempre a
tutti ed in maniera approfondita.
Capii che le mie risposte, così dettagliate e serene, per loro erano come una ninna nanna, infatti si
calmavano e stavano per ore ad ascoltarmi; io più mi rendevo conto che a loro facevano bene le mie
filastrocche sulla scienza e più parlavo, prolungandomi al massimo.
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