Allora preso dalla volontà di aiutarlo tentati di parlare con lui, anche se il suo italiano era molto
stentato, e gli dissi: “Akin, scusa se ti disturbo, vorrei chiederti se hai capito bene l’opportunità a
cui stai rinunciando, forse non te l’abbiamo spiegata bene. Tu potresti uscire subito dal carcere ed
andare a casa perché è arrivata una legge che te lo consente ed è riservata ai detenuti che devono
scontare ancora un residuo di pena non superiore ai 18 mesi e tu sei fra questi, visto che tu stesso
ci hai detto che ti manca poco più di un anno per tornare libero. Hai capito? Puoi uscire dal
carcere ed andare a casa! Oggi stesso!”.
Lui mi guardò negli occhi molto seriamente, con tono solenne e persuasivo, e mi disse: “dottore io
fuori da qui non ho una casa, è questa ormai la mia casa”.
Io sprofondai in un silenzio improvviso perché non mi aspettavo una risposta del genere, nessuno di
noi ci aveva mai pensato a quella possibilità!
Poi aggiunse: “fuori dal carcere non ho neanche cibo perché non lavoro, e ci sono persone cattive
che mi vogliono far vendere la droga e se rifiuto mi danno tante botte”.
Poi abbassando lo sguardo e rattristandosi in volto disse ancora: “e non ho nessun amico, sono tutti
nel mio paese in Africa, qui non ho nessuno”.
Io restai sempre più interdetto, ed abbassai anch’io lo sguardo in cerca di una risposta sensata ma
non sapevo cosa dire.
Mi guardai attorno cercando un’ispirazione, ma nulla, il gelo calò su di me.
In pochi secondi mi aveva trasmesso tutto il suo dramma: non aveva casa, nessun lavoro, nessun
amico, e se lo avessero visto quelli del clan che gli avevano imposto di fare lo spacciatore e lo
avevano spedito in galera, lo avrebbero obbligato a riprendere lo spaccio, pena botte da orbi!