qui si torna verso l’ingresso a quella che
l’editore chiama «la Piazza», su cui affac-
ciano gli edifici che accolgono il museo.
Nell’entrare nelle sale che espongono
le collezioni, Ricci spiega: «Ho voluto
uno scrigno alla Boullée, che conte-
nesse la mia collezione neoclassica».
Étienne-Louis Boullée (1728-99) è sta-
to – con Claude-Nicolas Ledoux, con
Giovanni Antonio Antolini – l’artefice
di quell’architettura fantastica che pro-
gettava irrealizzabili edifici a forma di
sfera, di cubo, di piramide. La collezione
di Ricci è invece neoclassica soltanto per
come lui l’ha concepita. Certo, il periodo
propriamente neoclassico ha una parte
di eccezionale rilievo, ma è nella
to è imprescindibile per capire l’uomo e
il suo Labirinto: l’intima connessione tra
l’editore, il bibliofilo, il collezionista.
Nel 1963 a Parma si inaugura il Museo
Bodoniano. Ricci rimane folgorato e
diventa editore e collezionista. Pub-
blica il suo primo libro: una riedizione
del Manuale tipografico di Giambattista
Bodoni, tra ’700 e primo ’800 il principe
dei tipografi e il tipografo dei principi. Si
mette a caccia delle sue edizioni: i Bo-
doni che via via ritrova e acquista oggi
costituiscono la più ricca e importante
collezione privata del mondo. Da editore
si innamora di Jorge Luis Borges: lo va a
trovare, nel 1973, a Buenos Aires. Il gran-
de, labirintico scrittore ne diventa amico,
dirige la fortunatissima collana La biblio-
teca di Babele. La casa editrice prende
così definitivamente corpo in una felice
simbiosi di soggetti “superflui” – effimeri,
dettati dalle sue passioni estetiche, dalle
sue trouvailles di collezionista e bibliofilo
- con i testi dei maggiori intellettuali del
tempo: Italo Calvino, Umberto Eco, Ro-
land Barthes, Jean Giono, Giorgio Man-
ganelli, Gianni Guadalupi.
Ed è questa la storia che si legge nel vi-
sitare questo luogo. Dopo essersi persi e
ritrovati nel labirinto verde, il più gran-
de del mondo con i suoi tre chilometri
di percorsi, si approda alla geometrica
sicurezza della corte centrale, chiusa dal-
la piramide che ospita una cappella. Da
In alto, da sinistra: Vir temporis acti (1911), scultura di Adolfo
Wildt; il porticato e la piramide sono in mattoni rossi,
come molti edifici storici di Parma. A destra: nelle piazze
del Labirinto sono stati collocati cippi numerati, ovviamente
in carattere Bodoni, per l’orientamento dei visitatori.